Il modello sistemico: Come comunicare con gli altri nell'ottica della complessità
1° Capitolo
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1° Capitolo - LA VISIONE BINOCULARE


 Ogni volta che l'informazione relativa alle due descrizioni viene raccolta oppure codificata in modo diverso, ci si deve aspettare quella che metaforicamente potremmo definire una maggiore 'profondità'- Bateson


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Al di là dell'orizzonte individuo.


"Nel giardino di una casa di campagna, visibile dal marciapiede esterno, un grosso signore con tanto di barba striscia accoccolato per il prato tracciando degli otto, mentre continua a guardarsi indietro e a fare ininterrottamente 'qua qua qua'. E'la descrizione che l'etologo Konrad Lorenz ci dà del proprio comportamento durante uno dei suoi memorabili esperimenti con gli anatroccoli (nella fattispecie, si era sostituito alla loro madre)."Ero molto compiaciuto", scrive, "dei piccoli che ubbidienti e precisi seguivano trotterellando il mio 'qua qua', quando ad un certo momento alzai gli occhi e vidi una fila di volti allibiti affacciata sopra la siepe del giardino: una intera comitiva di turisti mi guardava stupefatta". L'erba alta nascondeva gli anatroccoli e quello che vedevano i turisti era qualcosa del tutto inspiegabile, un comportamento veramente folle." (1)


Lo stupore che colse il passante nel vedere il dottor Lorenz parlare da solo è passato alla storia come un tipico errore di valutazione, in cui un osservatore incappa, quando la sua attenzione si sofferma soltanto su di una parte del fenomeno. Come nel caso di Lorenz il tener conto delle sue oche è assolutamente necessario per trovare un senso al comportamento osservato, così, nel nostro lavoro quotidiano, risulta talvolta indispensabile allargare il nostro orizzonte.


In particolare i comportamenti degli altri ci possono apparire incoerenti, incomprensibili e inaccettabili quando il nostro angolo di osservazione porta a mettere a fuoco solo alcuni elementi. Un'esplosione di rabbia può apparirci incomprensibile se non teniamo conto delle interazioni in cui è immersa. E se questo esempio ci appare abbastanza ovvio, culturalmente non ci viene altrettanto facile pensare di correlare il quoziente intellettuale o la malattia mentale di una persona con il suo contesto di apprendimento oppure con il modo di interagire delle persone che sono legate significativamente con la persona che porta il disturbo. E se anche non è una novità per noi fare questo tipo di correlazioni, è abbastanza facile che ci troviamo a lavorare con clienti, che pensano ai problemi psicologici come a dei fatti puramente individuali.


Ogni operatore sociale ha certamente sperimentato come talvolta sia difficile coinvolgere in modo diretto genitori o parenti. "Il problema è suo", "C'è qualcosa in lui che non va".


Quest'ottica di restringere all'individuo l'analisi dei problemi, di cercare al suo interno le cause, di scoprire nel passato traumi o complessi che spiegano il problema, ha conseguenze pragmatiche sul nostro modo di lavorare. Essa ci porta a concentrare tutta la nostra attenzione sull'individuo che noi vogliamo aiutare o cambiare. Ogni dato sul suo conto sarà catalogato in primo piano, mentre i dati riguardanti le persone che lo circondano saranno sfumati. Il rischio più grande sarà di non cogliere o di non mettere in sufficiente evidenza che cosa, attualmente, nel presente, è non soltanto nell'individuo portatore di sintomo, contribuisce a mantenere, a perpetuare il problema.


L'ottica della complessità


Con questa osservazione non vogliamo contrapporre ottiche diverse, ma soltanto sottolineare la necessità, di fronte a problemi umani, di non perdere di vista che essi presentano molti livelli di complessità.


Nella nostra esperienza come formatori di terapeuti e di operatori sociali spesso ci siamo sentiti porre la domanda: come si fa a utilizzare l'ottica della complessità nell'analisi dei problemi umani senza cadere nella confusione? O, in altre parole, come si può tenere conto contemporaneamente di più livelli di analisi senza perdere in precisione?


In effetti dobbiamo dire che non è possibile non perdere precisione, se vogliamo mantenere la nostra attenzione contemporaneamente su più livelli. E' tuttavia possibile compiere in successione più analisi, a livelli diversi, e poi connettere insieme i dati precedentemente ottenuti. Il risultato che si ottiene, connettendo tra loro tutta una serie di semplificazioni, appartiene alla complessità.


Noi per conoscere abbiamo bisogno di semplificare. Se la semplificazione, quindi, da un lato è uno strumento utile, dall'altro può diventare una trappola, quando riteniamo che il nostro modo di fare semplificazioni sia l'unico possibile e quando crediamo che questa sia la realtà, dimenticando che l'atto di semplificare è un modo di tracciare differenze caratteristico del soggetto che le compie. Soggetti diversi, con ottiche diverse, faranno semplificazioni diverse, costruiranno mappe diverse.


"Una mappa del sapere non è data dall'alto, non è data in anticipo: non si può sorvolare neppure per un momento, a volo di uccello, il territorio delle conoscenze nella sua totalità. Siamo inevitabilmente e costitutivamente all'interno del territorio, e dall'interno apriamo e percorriamo sentieri, raggiungiamo regioni diverse e progressivamente ci figuriamo, disfiamo e nuovamente disegniamo le nostre mappe. Come il vecchio Sioux Alce Nero vediamo il mondo dall'alto della nostra collina solitaria, sapendo che questo non è l'unico punto di osservazione possibile, e che non esistono particolari ragioni per accordargli qualche privilegio, se non il fatto che ci siamo noi. Ma la sfida della complessità ci spinge anche a condividere la sottile saggezza epistemologica di Alce Nero. Alce Nero "sa che 'qualunque luogo può essere il centro del mondo', ma cerca sempre il centro, e solo questa ricerca gli permette di narrare, al di là di ogni isolamento individuale, la storia di tutta la vita, non solo degli uomini ma anche degli animali e di 'tutte le cose verdi'" (Magris, 1982, p. 9)". (2)


Nell'analisi dei problemi umani il passato, la storia, il modo con il quale i problemi si sono formati, è certamente importante, ma non è tutto. Scoprire il processo che attualmente mantiene immutata la situazione è un altro livello di osservazione che ci permette di scoprire ciò che adesso ci è possibile cambiare o risolvere. In natura nulla permane immutabile nel tempo, se non c'è un processo che ne alimenta la stabilità. Per richiamarci ad un esempio quotidiano: nessuno di noi si attende che l'assetto delle gomme dell'auto e la loro pressione interna rimangano inalterate con l'andare del tempo.


Non c'è ragione per pensare che la psiche faccia eccezione. La nostra stessa personalità ha bisogno di atti quotidiani che la rendano stabile ed equilibrata. Se non ci nutriamo ogni giorno con la nostra quotidiana dose di rapporti interpersonali, che vanno dal contatto fisico alla comunicazione telefonica, il nostro equilibrio psichico può anche vacillare. Allo stesso modo, perché un problema rimanga costante nel tempo, è necessario un processo che ne alimenti la stabilità.


Porre attenzione a ciò che mantiene in vigore il problema ha alcuni vantaggi: per prima cosa ci permette di trovare soluzioni più rapide, perché si interviene su ciò che è disponibile nel presente. In secondo luogo si sfruttano risorse che possono essere disponibili anche al di fuori dell'individuo portatore di sintomo. Infine abbiamo l'opportunità di scegliere, a ragion veduta, quali dati privilegiare e quali sfumare, a seconda dell'utilità che questi comportano per la soluzione del problema.


Assumere l'ottica della complessità significa:


- compiere analisi a più livelli,


- costruire strumenti che ci consentano di fare connessioni tra i vari livelli di analisi,


- tenere presente che analisi e connessioni sono compiuti da un osservatore.


In questo primo capitolo tenteremo di approfondire un primo livello di complessità che deriva dalla correlazione di due livelli di analisi. Il primo livello è quello delle categorie di azione (*), con le quali costruiremo mappe interazionali. Il secondo livello utilizzerà l'ottica dei processi, cioè ci aiuterà a descrivere le interazioni comprese all'interno delle mappe. Per dirla in soldoni, studiare un fenomeno costruendosi delle mappe è come utilizzare la macchina fotografica è farsi una serie di diapositive per fissare i momenti più significativi di un evento. Analizzare i processi invece significa utilizzare una videocamera che riprenda l'evolversi continuo dell'evento è ci permetta di rivederlo tante volte quanto è necessario per schematizzarne le tappe.


La correlazione tra questi due livelli di analisi ci darà l'opportunità di creare nuove informazioni derivanti dalla loro confrontazione. Come la visione binoculare ci fornisce la percezione della profondità, così il confronto tra il livello delle mappe e il livello dei processi ci aiuterà a cogliere la logica di ciò che appare illogico.


L'ARTE DI COSTRUIRSI UNA MAPPA


Uno dei rischi che più frequentemente noi riscontriamo negli operatori sociali quando iniziano a utilizzare il modello sistemico, consiste nel dedicare molto tempo a raccogliere una gran massa di dati. Avere molti dati a disposizione può confondere più che aiutare l'operatore sociale.


E' necessario possedere un metodo per raccogliere informazioni, per selezionare quelle più utili, per catalogarle, per organizzarle e per connetterle tra loro. In altre parole, è necessario un modello per uscire dal groviglio dei dati e costruirsi una mappa che serva ad orientare gli interventi successivi, o a correggerne, quando è necessario, la direzione.


Parafrasando Minuchin, possiamo dire che la mappa del sistema è uno schema di organizzazione. "Non rappresenta la ricchezza delle transazioni familiari, così come una mappa non rappresenta la ricchezza di un territorio. E' statica, mentre la famiglia è costantemente in movimento. La mappa, però, è un potente strumento di semplificazione".(4) Essa aiuta l'operatore sociale a organizzare tutto il materiale che va raccogliendo. In tal modo può incominciare a farsi delle ipotesi sulla funzionalità del sintomo o del problema, è capirne più a fondo la logica.Costruire una mappa significa:


1° Individuare è circoscrivere il sistema significativo


2° Organizzare il sistema significativo.


"A chi fa problema?"


Il primo passo è quello di circoscrivere qual'è il sistema (*) significativo definito dal problema, ovvero quali sono le persone coinvolte dal problema in questione.


Per circoscrivere è scegliere i dati da osservare la prima domanda utile è: "Questa situazione per chi costituisce un problema?"


Caso di Edoardo:


Vorremmo percorrere il cammino che ci conduce a costruire una mappa, portando come esempio un caso che abbiamo seguito in supervisione.


Edoardo è un ragazzo di 13 anni che viene definito portatore di handicap ed è inserito in una scuola media, in classe a numero ridotto di alunni, con l'insegnante di sostegno. Edoardo ha problemi di linguaggio attribuiti ad esiti di palatoschisi è grosse difficoltà di apprendimento. In verità i problemi più gravi appaiono quelli sul piano del comportamento e della socializzazione: rifiuta ogni tipo di regola, assumendo comportamenti aggressivi sia sul piano verbale che con ripetuti 'passaggi all'atto'. Tira calci è pugni a chiunque gli capita a tiro, specie quando si sente guardato, provocando fra i compagni delle vere è proprie mischie, difficili da sedare.


Quando, con l'insegnante di sostegno ne parlammo, per la prima volta, in supervisione, la sua preoccupazione sembrava quella di trovare un modo per contenere il comportamento senza regole di Edoardo. Questa era anche stata la richiesta esplicita della preside e del consiglio di classe, preoccupati perché il 'caso' seminava scompiglio in tutta la scuola.


Dalla prima descrizione che ci veniva fornita il comportamento attuale di Edoardo risultava inspiegabile: non esistevano elementi per poterlo attribuire a patologia organica o a deficit intellettivo (i test erano risultati nei limiti della norma), né a difficoltà di relazione con l'insegnante di sostegno verso il quale Edoardo aveva, tutto sommato, un buon rapporto.


L'insegnante di sostegno era stupito per il comportamento discontinuo del ragazzo, in alcuni momenti rispondeva alle richieste in modo sorprendentemente adeguato; in altri momenti ogni richiesta, anche la più banale, scatenava in modo inspiegabile reazioni aggressive a catena.Indagare ulteriormente sul comportamento di Edoardo, non sembrava portarci delle informazioni utili.


Ci pareva importante circoscrivere il sistema relazionale significativo, ovvero chiarire per chi il comportamento di Edoardo costituiva un problema: era un problema solo per la scuola o anche per la famiglia o per i servizi sociali?


Non era chiaro, inoltre, quante persone in quel momento si stavano occupando del ragazzo, per quanto tempo, quante persone si trovavano coinvolte in qualche modo con i problemi che si coagulavano intorno a lui. In altre parole si trattava di uscire dall'ottica che focalizzava il problema nel portatore del sintomo e allargare il nostro sguardo sul sistema che appariva coinvolto nel cercarne una soluzione.


"Per chi costituiva problema il comportamento di Edoardo?"


Le informazioni che abbiamo potuto raccogliere da questa domanda, ci permisero di osservare che, sia i servizi sociali che avevano gestito l'adozione di Edoardo, sia i suoi genitori naturali con i quali non aveva più nessun rapporto, si potevano collocare per il momento al di fuori del confine che racchiudeva il sistema che si era costituito intorno al problema. Questo, infatti, pareva coinvolgere, in prima istanza, la scuola e i genitori adottivi. Alla ricerca della logica dell'illogico Dopo aver circoscritto il sistema significativo è importante organizzare i dati che abbiamo a disposizione. Il che comporta:1° Individuare i sottosistemi e i loro confini.


Un modo per organizzare il sistema significativo è quello di individuare i sottosistemi.


Raggruppare in sottosistemi significa suddividere le persone che ruotano intorno al portatore del problema secondo criteri prescelti: ad esempio si può adottare il criterio che riunisce le persone a seconda dei contesti. Avremo così il sottosistema genitori, il sottosistema figli o il sottosistema consiglio di classe, il sottosistema famiglia è così via.


Se il criterio di scelta è il modo di prendere posizione rispetto al problema, possiamo trovarci di fronte a sottosistemi diversi dai precedenti. Ad esempio in un consiglio di classe possiamo individuare un sottosistema composto da una parte di insegnanti che ritengono inutile prendere provvedimenti di fronte ad un episodio di indisciplina, in contrapposizione ad un altro sottosistema che sostiene la necessità di intervenire con tempestività e decisione. Nei casi di famiglie multiproblematiche, ad esempio, potrebbe essere utile individuare sottosistemi diversi a seconda del problema preso in considerazione.


Caso di Edoardo: (continua)


Nel caso di Edoardo i sottosistemi erano stati delineati in base al contesto è si presentavano in questo modo: 1) la Preside è il consiglio di classe costituivano il sottosistema che aveva la funzione di prendere le decisioni; 2) l'insegnante di sostegno che con Edoardo costituiva il sottosistema "recupero handicap"; 3) la classe: i ragazzi e i loro genitori che avevano la funzione di controllo sulle decisioni; 4) e in ultimo la famiglia adottiva.


Avevamo dimenticato qualcuno?


Continuando a porci la domanda: "chi è coinvolto con il problema?" scoprimmo un fatto interessante: anche gli insegnanti di altre classi, che non erano direttamente coinvolti nel 'caso' Edoardo, erano comunque attivamente interessati al problema. Si erano addirittura venuti a creare all'interno del corpo insegnanti due schieramenti opposti: da un lato quelli favorevoli all'inserimento in classe di Edoardo, dall'altro i contrari.


Anche i bidelli, seppur dietro le quinte, concorrevano attivamente a mantenere questi schieramenti, fungendo da 'gazzettino interno'. Ogni mossa di Edoardo veniva amplificata a sostegno ora dell'una ora dell'altra opinione.


Non è sempre facile avere chiaro, fin dal primo momento, quali siano le persone coinvolte, infatti, a volte, nel racconto delle persone intervistate, non vengono nominate o vengono messe in ombra alcune figure che sembrano poco importanti perché agiscono dietro le quinte. Occorre avere la costanza di non fermarsi, fino a che il quadro non ci appare sufficientemente completo, tale da offrire una spiegazione coerente alla apparente illogicità.


Una volta individuati i sistemi è importante porre attenzione ai loro confini.


Minuchin definisce i confini così: "I confini di un sottosistema sono le regole che definiscono chi partecipa è come"(8). Essi servono a proteggere la differenziazione di un sistema o di un sottosistema. Se ne possono distinguere di tre diversi tipi:


- Rigidi, nel senso che impediscono l'ingresso di novità dall'esterno o rendono difficile i rapporti dei membri interni con gli estranei. E' il caso di quella famiglia, i cui genitori biasimavano come non positive, tutte le esperienze che il loro unico figlio faceva con i suoi coetanei, perché ai loro occhi, sembravano sempre rischiose, in quanto fatte con estranei. Era abbastanza logico che questo ragazzo avesse, come lamentavano gli insegnanti, difficoltà di socializzazione.


- Diffusi, nel senso che assolvono in modo precario alla loro funzione di protezione. Si può dire, che là, dove non ci sono segreti tra genitori e figli, si possa parlare di confini diffusi tra il sottosistema dei genitori e quello dei figli. Un problema cruciale si avverte nell'interazione tra istituzioni diverse o tra figure professionali diverse quando si ha in carico lo stesso problema. I confini sono diffusi quando si dà per scontato il diritto di conoscere le informazioni in possesso del collega, anche quelle che l'utente o il cliente rivela soltanto all'operatore sociale in quanto medico, oppure in quanto psicologo. Un classico, nella nostra esperienza, è la richiesta da parte di insegnanti o di educatori di conoscere la diagnosi o di sapere il contenuto di una seduta psicoterapeutica.


- Chiari, quando permettono ai membri di un sistema di esercitare le loro funzioni senza indebite interferenze e, contemporaneamente, non impediscono loro il contatto con gli estranei è con le novità.


2° Individuare come i vari sottosistemi si connettono fra loro.


"In che modo ciascuno dei componenti di questo sistema si muove intorno al problema? "


Questa domanda apre un ventaglio di possibilità per costruire differenze e quindi per avere informazioni significative. Il determinare come ciascuno dei componenti il sistema si muove intorno al problema o ai problemi, è cruciale per capire il tipo di relazioni che si instaura tra di loro, per evidenziare altre configurazioni significative di sottosistemi e per capire quale può essere la via praticabile per costruire una soluzione. (6)


Ci pare importante sottolineare due passaggi in particolare:a) sondare in che modo i vari sottosistemi definiscono il problema e b) quale spiegazione se ne danno.


Possiamo trovarci di fronte ad una gamma di posizioni diverse, spesso contrastanti, che, come in un mosaico, concorrono a fare emergere in che modo il problema trova la strada per perpetuarsi.


Caso: di Edoardo: (continua)


Nel caso di Edoardo noi abbiamo evidenziato come, rispetto al problema, si articolassero più sottosistemi: da un lato l'insegnante di appoggio, con un piccolo gruppo di colleghi, che attribuiva il comportamento di Edoardo a disturbi psicoemotivi, (quindi per loro sarebbe stato importante far seguire il ragazzo con la famiglia adottiva), dall'altra il consiglio di classe che concordava con la diagnosi dei servizi sociali, secondo la quale, il problema era da ricondurre esclusivamente ad un trauma da parto, quindi difficilmente recuperabile. Da ultimo la famiglia adottiva colpevolizzava la scuola come incapace di integrare efficacemente un ragazzo, che presentava solo qualche difficoltà di adattamento.


Il comportamento di Edoardo a scuola incominciava ad avere un sua ipotetica logicità, se correlato ai comportamenti messi in atto dai vari sottosistemi: i comportamenti di Edoardo, infatti, davano ragione a tutti. A volte si comportava come un ragazzo normale e questo veniva sottolineato dall'insegnante di sostegno, altre volte sembrava non avere alcuna capacità di apprendimento, e questo veniva enfatizzato dall'insegnante di classe, altre volte ancora si comportava come un ragazzo molto 'disturbato', dando così ragione a chi lo definiva portatore di handicap con gravi disturbi del comportamento. Edoardo si trovava in un posizione centrale in quanto costituiva l'oggetto del contendere tra posizioni contrapposte, derivanti da criteri diversi di valutazione, da valori diversi e diverse concezioni educative


.b) Sondare in che modo la diversa definizione del problema incide sulle modalità di interazione tra i vari sottosistemi.


Per l'analisi delle modalità interattive possiamo riferirci ai concetti di simmetria e complementarietà così come ci vengono proposti nella 'Pragmatica della comunicazione umana'. Simmetria e complementarietà si possono descrivere come "relazioni basate o sulla uguaglianza o sulla differenza. Nel primo caso i modelli tendono a rispecchiare il comportamento dell'altro (e quindi la loro interazione è simmetrica). Debolezza o forza, bontà o cattiveria non sono qui pertinenti: ovviamente si può mantenere l'uguaglianza in ciascuno di questi settori particolari. Nel secondo caso il comportamento del partner completa quello dell'altro e costituisce un tipo diverso di Gestalt comportamentale (che definiamo complementare). L'interazione simmetrica dunque è caratterizzata dall'uguaglianza e dalla 'minimizzazione' della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l'interazione complementare."(7) Possiamo quindi chiederci quali sono le modalità di interazione prevalenti: se quelle simmetriche o quelle complementari. E ancora tra chi, e in quale contesto.


I concetti di simmetria e complementarietà possono servirci per descrivere l'interazione tra due persone o tra due sottosistemi. Quando invece ci troviamo di fronte a interazioni triadiche che coinvolgono contemporaneamente tre o più persone o tre o più sottosistemi, possiamo aver bisogno di altri strumenti di analisi quali la deviazione, la coalizione trans-sistemica, la coalizione negata e la triangolazione, i confini.


La deviazione si riferisce alla situazione in cui due sottosistemi in conflitto tra di loro, evitano lo scontro diretto o lo nascondono, utilizzando l'interesse comune nell'affrontare il problema costituito da un terzo. Si verifica ad esempio in una famiglia, quando due genitori in lotta tra di loro, si uniscono contro l'aggressione di uno degli suoceri o di un estraneo alla famiglia.


La coalizione trans-sistemica (6) si verifica quando singoli membri di un sottosistema si alleano con membri appartenenti a sottosistemi diversi per escludere o lottare contro membri del loro sottosistema. Succede, per esempio, quando un paziente si allea con il suo terapeuta per aver successo in una lotta contro il partner. Oppure quando il coordinatore di un servizio si allea con uno dei suoi collaboratori per contrastare il leader naturale dell'équipe.


La coalizione trans-sistemica diventa coalizione negata quando si nasconde dietro un apparente distacco o lotta tra i due, che di fatto sono coalizzati.


In una famiglia può manifestarsi una coalizione negata quando un figlio con il suo comportamento mette in crisi sua madre. Questa interazione conflittuale serve però anche alla madre per costringere il papà a interessarsi, finalmente, dei problemi di famiglia e non soltanto di quelli di lavoro.


La triangolazione si evidenzia quando un individuo o un sottosistema non può fare a meno dell'alleanza di altri due, che, però, sono tra loro in conflitto. Il messaggio che il soggetto riceve da entrambi è del tipo: 'chi non è con me è contro di me'. In una famiglia la triangolazione può essere segnalata dalla presenza di messaggi del tipo: 'Visto che sei sempre con tuo padre, perché non chiedi a lui il denaro che ti serve?'. In contesti più ampi, si può verificare quando l'utente di due servizi sociali viene messo nella necessità di scegliere da che parte stare per un conflitto di competenze, a cui egli è estraneo. Caso di Edoardo: (continua)


La diversità di spiegazione e di definizione del problema di Edoardo si giocava in una chiara simmetria tra l'insegnante di sostegno e il consiglio di classe.


Da un lato l'insegnante di sostegno sosteneva la necessità di integrare il ragazzo al più presto all'interno della classe, perché questo avrebbe favorito o comunque accelerato il suo recupero. Dall'altro il consiglio di classe si opponeva fermamente ad un simile progetto, ritenendolo impossibile.


Questa simmetria acquisiva rigidità, poiché si inseriva in una lotta precedentemente avviata in occasione di un corso di aggiornamento tenuto dall'insegnante di sostegno a tutto il consiglio di istituto. Questo compito gli era stato affidato dalla preside, che apprezzava il suo impegno e la sua preparazione professionale. Era, inoltre, stato additato come esempio al collegio docenti per i risultati ottenuti (definiti 'miracolo') durante il precedente anno scolastico con un ragazzo handicappato. Tale presentazione, se per un certo verso era stata una comprensibile fonte di gratificazione per lui, tuttavia non gli aveva giovato a rafforzare i rapporti di collaborazione con i suoi colleghi. In concreto egli si sentiva molto isolato e doveva constatare quotidianamente una situazione relazionale di rifiuto da parte dei colleghi che si manifestava in opposizioni più o meno palesi ad ogni sua iniziativa didattica.


La famiglia di Edoardo teneva contatti con la scuola tramite il papà, adottivo, di professione preside in un altro istituto della città. Egli sosteneva con molta energia la necessità di inserire Edoardo al più presto nella vita della classe e per questa sua presa di posizione si trovava alleato dell'insegnante di sostegno. Questa alleanza, tuttavia, era resa precaria dal fatto che, i due si trovavano divisi sulla spiegazione che ciascuno di loro dava del problema: per l'insegnante occorreva intervenire nei rapporti familiari per sbloccare Edoardo, per il papà nella famiglia tutto era in ordine: toccava alla scuola cambiare.


A questo punto ci appariva più chiaro come Edoardo venisse a trovarsi in una scomoda situazione di triangolazione: da una parte i suoi genitori e l'insegnante di sostegno che lo volevano vedere inserito nella sua classe, dall'altra l'insegnante di classe e il consiglio dei docenti che, da questa decisione si aspettavano solo disastri.


La posizione della preside incominciava a delinearsi in modo chiaro. All'insegnante di sostegno si proponeva come sua alleata. Almeno a livello verbale, infatti, questi si sentiva appoggiato dagli incoraggiamenti e apprezzamenti che la preside in privato gli elargiva, ma, quella che poteva sembrare un'alleanza, veniva negata quando in concreto si trattava di lavorare intorno al progetto di far entrare Edoardo in classe: la preside, adottando un comportamento di attesa, di fatto si schierava con la maggioranza degli insegnanti.


La prima cosa che risulta evidente in questa descrizione è che, più il sistema si muove per trovare una soluzione, più le difficoltà di Edoardo passano in secondo piano. Egli è sì l'oggetto del contendere, ma la posta in gioco per i contendenti appare un'altra: far prevalere il proprio punto di vista. Ognuno di loro pur nella convinzione di fare il meglio per Edoardo, finiva di arroccarsi su posizioni rigide, diventando incapace di cogliere reciprocamente gli elementi positivi, utili all'interno delle posizioni dell'altro. In questo modo nessuna decisione valida poteva essere presa; il sistema era in una situazione di stallo, e questo al di là delle intenzioni di ognuno.


L'avanzare il proprio punto di vista come l'unico valido era diventato un modo attraverso il quale i vari sottosistemi definivano la loro relazione reciproca: chi è più importante per chi, chi è più bravo di chi.


In un sistema relazionale quando il tempo e le risorse dedicate per la definizione della relazione sono superiori al tempo e alle risorse dedicate per affrontare in modo pragmatico le possibili soluzioni del problema, significa che molte energie vengono sprecate per fini che non concordano con quelli ufficialmente dichiarati o perseguiti. Questo porta al risultato di una perdita di funzionalità del sistema nel suo insieme e un perpetuare le conflittualità reciproche.


Con gli strumenti descritti nei punti 1) e 2) possiamo organizzare i dati che otteniamo nelle interviste e costruire con essi una mappa che ci aiuti ad individuare in quale posizione si trova il nostro interlocutore.


Costruirsi delle mappe è un primo passo molto importante, ma, da solo, può non essere uno strumento sufficiente, anzi, come sottolinea lo stesso Minuchin (8), può offrire il fianco a possibili tranelli.


Egli ne ricorda tre:


1° Ignorare il processo evolutivo.


Un sistema relazionale umano non ha la staticità che appartiene alla mappa. E' in continua evoluzione. E' necessario cogliere il processo evolutivo per essere in grado di produrre soluzioni che siano adeguate alle direttrici emergenti. Ciascuno di noi è, di fatto, sollecitato a continui cambiamenti e, così come lo è l'individuo, lo è anche il suo sistema di riferimento: la famiglia, ad esempio.


2° Ignorare alcuni sottosistemi significativi.


Questo si verifica quando la nostra attenzione si concentra particolarmente su alcuni sottosistemi, a scapito di altri. Poteva succedere a noi se non avessimo approfondito a sufficienza, escludendo, nel caso di Edoardo, il sottosistema bidelli e quello degli insegnanti di consiglio di istituto.


3° Sostenere un solo sottosistema, alleandosi con esso.


Può succedere quando, collaborando con altri servizi, si decide di intervenire su un particolare sottosistema, che consideriamo trascurato dai colleghi. Oppure quando il modo di affrontare il problema di un sottosistema è molto vicino a quello che noi riteniamo giusto o adeguato.


Per una più completa analisi dei sistemi interattivi umani, non è sufficiente sapersi costruire una mappa, è fondamentale porre anche attenzione ai processi. Porre attenzione ai processi costituisce un modo alternativo di raccogliere informazioni e di aprire una strada per una nuova visione del problema.


IL MONDO DEL 'COME'


Evidenziare i processi significa innanzitutto non confondere le persone con i loro comportamenti.


Nel mondo dei processi, per poter essere capiti è farsi capire, occorre tener conto di un peculiare modo di esprimersi: al posto del verbo 'essere' seguito da un aggettivo, si adotta il verbo 'comportarsi come'. Per esempio non esistono persone che 'sono depresse',' sono buone', 'sono egoiste' ecc., ma persone che si comportano come depressi, che hanno dei comportamenti egoisti, ecc.


Il nostro modo abituale di esprimerci, usando il verbo "essere" piuttosto che "sembrare", "apparire", "comportarsi", ha una sua utilità, poiché permette di comunicare rapidamente il nostro pensiero; presenta, tuttavia, un grosso limite: con il tempo un comportamento diventa un modo di essere dell'individuo, una sua caratteristica intrinseca. Senza accorgersi compiamo un salto da "questa volta" al "sempre". Con un processo di generalizzazione (vedi cap. 3°) un comportamento rilevato in una o più circostanze diventa un comportamento abituale, entra a far parte delle caratteristiche della personalità.


Ha un altro effetto dire: 'Giovanni è aggressivo' rispetto all'affermazione: 'Giovanni ha dei comportamenti aggressivi'. Nel primo caso è come scambiare la fotografia di un momento con la realtà dell'individuo, mentre nel secondo è implicita la relatività dell'affermazione.


Questo modo di punteggiare* gli eventi è liberatorio non soltanto per Giovanni, che non sarà costretto a lottare all'interno di inutili classificazioni, ma anche per me, operatore sociale. Infatti il modo con cui punteggio gli eventi influisce sulle mie aspettative e queste indirizzano i miei comportamenti. Così, se penso che Giovanni è aggressivo o egoista mi aspetterò da lui sempre e soltanto un certo tipo di comportamenti, limitando anche la mia gamma di comportamenti possibili nei suoi confronti fino a favorire l'espressione del comportamento stigmatizzato.


Punteggiare in termini di processo significa inoltre sostituire al concetto di causalità il concetto di contemporaneità. Come dice Paul Dell (9): il concetto di causalità è solo una delle possibili accezioni del più ampio concetto di contemporaneità.


Il concetto di causalità lineare ha informato il mondo della scienza e della cultura occidentale in particolare con il sorgere della scienza moderna, il cui scopo era di creare "schemi onnicomprensivi, una struttura universale unificante, al cui interno si potesse mostrare che ogni cosa esistente è sistematicamente - cioé logicamente o causalmente - interconnessa con ogni altra". (16) Non C'è da stupirsi quindi di scoprirci abituati a vedere e a spiegare le cose in termini di causa-effetto e che ci sembri strano questo modo di punteggiare, ovvero di correlare gli avvenimenti senza attribuire una causalità precisa, una precisa responsabilità. Punteggiare in termini di processo significa descrivere le interazioni tra le persone, tenendo conto del concetto di retroazione (1).


Quando due persone litigano, ci si pone spesso la domanda: chi ha incominciato? Tale domanda ha come implicito la possibilità di trovare un gesto o una parola che faccia da miccia allo scoppiare del conflitto.



Se descriviamo il medesimo conflitto, tenendo conto del concetto di retroazione, non ha senso chiedersi chi ha incominciato, poiché retroazione implica contemporaneità: intanto che A influenza B, B influenza A. Mentre A parla, viene influenzato dal non verbale di B. Non solo, ma anche il significato delle parole di A dipende dal comportamento di B. E' difficile offendere una persona che si metta a ridere del mio insulto.


Quando ci troviamo a parlare con una coppia in difficoltà è facile raccogliere una serie di lamentele reciproche. Il marito ad esempio, può lamentarsi che la moglie brontola, mentre la moglie può essere insoddisfatta perché il marito non parla. E' facile che l'uno incolpi l'altro di essere la causa dei guai di cui stanno soffrendo. Il loro modo di darsi spiegazioni rispetta il principio di causalità lineare. Se introduciamo nel loro modo di punteggiare il concetto di retroazione, sarà per loro difficile continuare a incolparsi ancora, poiché questo non farebbe che evidenziare quanto ognuno dei due fa per mantenere in piedi il conflitto.


Evidenziare i processi comporta un salto tra il mondo delle cose e il mondo del divenire, tra il "che cosa" e il "come". Ciò che interessa qui non è tanto il contenuto dei problemi, quanto il processo che li ha realizzati. Dire che Maria soffre di depressione o che Edoardo presenta crisi di aggressività, è un'informazione sintetica che nasconde molte informazioni sulle modalità con le quali si produce questo fenomeno, su chi coinvolge, e in che modo ognuno viene coinvolto. Come abbiamo già detto, uno dei rischi dell'operatore sociale è quello di lasciarsi catturare dal contenuto di un problema, dalla miriade di particolari di cui spesso è ricca la descrizione dell'interlocutore. E' il livello della definizione della relazione che interessa in termini di processi, ovvero il livello di comunicazione in cui si scambiano messaggi di conferma, rifiuto e disconferma (7), ovvero messaggi del tipo: "Ecco come io mi propongo di mettermi in relazione con te, che a tua volta mi stai mandando messaggi su come intendi rapportarti con me". Naturalmente occorre guidare con opportune domande l'interlocutore a soffermarsi sui comportamenti, tralasciando quella miriade di particolari che, a questo livello di descrizione, diventano assolutamente insignificanti, anzi possono creare quella sottile atmosfera di confusione all'interno della quale diventa difficile orientarsi. Introdursi nel mondo dei processi può avere qualche utilità, sia da un punto di vista personale che professionale. Noi vorremmo sottolineare in particolare gli aspetti professionali, poiché quelli personali esulano dal nostro discorso. Innanzi tutto se non attribuisco alle caratteristiche della persona il problema che devo affrontare, mi apro uno spiraglio per sperare in un cambiamento. 'Che fare, è fatto così!', è una frase che spesso sentiamo dire da altri e che anche noi usiamo; è una punteggiatura, un'ottica che non lascia molte speranze.


Se è fatto così, non lo posso certo cambiare; ma se il problema è il suo comportamento posso incominciare a fare delle correlazioni tra questo e il comportamento delle altre persone che gli stanno intorno, posso tentare di vedere che cosa capita se qualcuno cambia modo di comportarsi. Di fatto succede talora di osservare che di fronte a comportamenti 'sorprendenti' anche il cosiddetto pazzo reagisce in modo normale.


Da ultimo, uscire dall'ottica della causalità lineare, può essere stimolante in quanto ci consente di lavorare in un mondo in cui non esistono errori-colpa, non esistono fallimenti ma solo risultati che offrono nuove informazioni sulle quali possiamo costruire una soluzione che funziona. Analizzando, ad esempio, i cosiddetti fallimenti, possiamo scoprire il modo attraverso il quale si giunge ad un risultato non desiderato; questo ci dà informazioni molto più utili sul 'come' cambiare.Caso di Roberto: Vorremmo chiarire con un esempio uno dei possibili percorsi per giungere ad evidenziare i processi.


Un'assistente sociale si stava occupando di una coppia di genitori (55 e 50 anni) che gli avevano chiesto aiuto per il loro figlio, Roberto, di 24 anni: desideravano metterlo in comunità, adducendo come motivo che non sapeva badare a se stesso, era chiuso, aggressivo e tiranno, soprattutto con la madre. L'elenco dei lati negativi del loro figlio era talmente lungo che aveva occupato tutto il primo colloquio, durato circa un'ora e mezza. Come uscire dalla trappola delle lamentele? Come fare per non confondere Roberto con i suoi comportamenti? Come trovare uno spiraglio in una situazione che si presentava senza soluzioni da qualsiasi lato la si guardasse? L'assistente sociale aveva impostato il secondo colloquio in modo da aiutare i genitori a liberarsi dalle continue definizioni che davano del figlio portandoli a osservare in concreto come Roberto si comportava. Che cosa significa che Roberto non bada a se stesso? Quali sono i comportamenti che vi fanno dire che non bada a se stesso? In quali occasioni si comporta così? Con chi lo fa di più? In pratica, l'assistente sociale, richiedendo queste precisazioni, porta i genitori ad ampliare nella loro visione le possibilità del figlio: Roberto non "è" più soltanto i suoi comportamenti negativi.


Da questo colloquio emerse, infatti, un quadro sorprendente al tempo stesso per i genitori è per l'assistente sociale. Roberto non è autonomo in casa, in quanto non si lava se la mamma non glielo ricorda, non si alza dal letto se non viene ripetutamente chiamato, parla solo a monosillabi per rispondere alle domande incalzanti della mamma: 'Se non gli faccio continuamente domande, lui non parlerebbe mai'. Fuori casa, invece, frequenta amici con i quali dialoga, organizza incontri e realizza viaggi nel periodo di vacanze.


L'aver sottolineato questa differenza tra il comportamento di Roberto in casa e fuori casa portò i genitori a riflettere. Al momento non sapevano darsene una spiegazione, tuttavia cominciava a modificarsi la loro prospettiva: Roberto aveva delle risorse che loro non consideravano, Roberto aveva la possibilità di cambiare.


Il sentiero che porta al 'come'


Che cosa è importante fare per evidenziare i processi?


Per poter evidenziare i processi occorre:1° tradurre in comportamenti tutto quanto viene attribuito al carattere, alle qualità e alle doti intrinseche della persona.


Questo dà informazioni contemporaneamente sia all'operatore sociale che all'utente. Infatti l'operatore sociale, con la descrizione dei comportamenti, ha a disposizione dei dati meno inficiati da interpretazioni. L'utente, recuperando una descrizione in termini di comportamenti e non di "essere", può recuperare la ricchezza della sua percezione e ricavare informazioni utili per riconsiderare il problema. Spesso è proprio la definizione che l'utente ha del suo problema a bloccare ogni possibile soluzione. Nel caso di Roberto, ad esempio, lo scoprire che il figlio ha più possibilità di comportamento, ha fatto rinascere nei genitori la speranza e li ha posti in una situazione dinamica rispetto al problema portato.


2° è' importante portare l'interlocutore/i a fare correlazioni tra il comportamento problematico e i comportamenti considerati normali.


Questo lavoro è significativo, perché ci consente di uscire dall'ottica ristretta ad una sola persona. Ci permette di contestualizzare il comportamento problematico, ponendolo all'interno del sistema interattivo di cui è parte. Il fatto di cogliere il quadro delle interazioni reciproche ci consente di evidenziare il senso che quel comportamento problematico può avere in quel sistema.


Es. "Quando Roberto al mattino rifiuta di alzarsi, cosa fa il papà?"


Madre: "Niente: legge il giornale e fa come se niente fosse".


Assistente sociale "E lei, signora, come interviene?"


Madre: "Urlo sempre più forte, e finisco di arrabbiarmi, perché vedo che Roberto non mi ascolta e mio marito non fa niente per aiutarmi".Da questo breve scambio di battute si incomincia ad intravedere un abbozzo del circuito interattivo nel quale è inserito il comportamento di Roberto. Nella prosecuzione del colloquio l'assistente sociale ha potuto osservare come il comportamento di Roberto fosse appropriato, in sintonia con un contesto di braccio di ferro tra papà e mamma, braccio di ferro, in cui assecondare le richieste dell'uno significava essere contro l'altro e viceversa.


3° Portare l'interlocutore a fare emergere differenze là dove queste non erano state evidenziate o addirittura non percepite.


'Traccia una linea', ha scritto Spencer Brown (10). Questo semplice atto sta alla base di ogni arricchimento di informazione. Questo significa che il tracciare una linea, il fare una distinzione è una scelta del soggetto.


Esistono quindi infinite possibilità di fare distinzioni in modi differenti. Si possono tracciare linee riguardanti i comportamenti:


a) entro rapporti specifici, e non in termini di predicati supposti intrinseci al portatore, come abbiamo visto nel punto uno.


I genitori di Roberto, prima del colloquio, adottavano un modo di fare differenze che vedeva solo le caratteristiche proprie del loro figlio. Questo impediva loro di cogliere le connessioni tra il loro modo di comportarsi e quello del figlio, facendoli sentire impotenti e frustrati. Di fatto è impossibile cambiare il carattere di una persona.


b) in termini di graduatoria (15) dei vari membri della famiglia rispetto a uno specifico comportamento, o a una specifica interazione.


Es. - "Chi si preoccupa di più quando Roberto si chiude per intere giornate in camera?"


Padre: "Mia moglie, che va talmente in panico da chiamare in aiuto la zia, sua sorella maggiore".


c) in termini di mutamento nel rapporto (o meglio di mutamenti indicativi di un mutamento di un rapporto) prima e dopo un avvenimento preciso.


Es. - "Signora, suo marito ha appena affermato che Roberto non ha mai obbedito alle sue richieste. Secondo lei, Roberto obbediva a papà più spesso prima o dopo che la zia si è trasferita a Torino"


Signora: "Mi sembra di ricordare che era meglio prima."


d) in termini di differenze rispetto a circostanze ipotetiche.


Es.-"Se Roberto fosse andato in comunità, chi sarebbe stato più soddisfatto?"


Madre: "La zia, sicuramente!"


4° Guidare l'interlocutore a fare emergere correlazioni e differenze non solo sulle interazioni singole, ma fra interazioni in contesti diversi.


Es.: -" In casa Roberto si comporta come totalmente dipendente dalla mamma, fuori casa come si comporta?"


LA PUNTEGGIATURA ALTERNATIVA CONDIVISA


Mentre traduciamo in comportamenti, facciamo differenze e correlazioni tra questi, in altri termini, mentre cerchiamo di evidenziare i processi, noi costruiamo contemporaneamente con il cliente una punteggiatura alternativa condivisa. Per punteggiatura intendiamo, in accordo con la Pragmatica della comunicazione umana, un processo di selezione e di organizzazione dei dati, a cui viene attributo un valore, un significato in base alle cornici interpretative proprie di ciascun soggetto. "La punteggiatura organizza gli eventi comportamentali ed è quindi vitale per le interazioni in corso" (7).


Quando una persona viene da noi, portandoci un problema, ha organizzato i suoi dati esperienziali in sequenze ben precise, ha costruito una sua punteggiatura.


Anche noi, mentre lo ascoltiamo, organizziamo i dati che l'altro ci porta, costruendo a nostra volta una punteggiatura. Per noi, che abbiamo il compito di condurre l'altro verso una soluzione del suo problema, è importante accogliere la punteggiatura che l'altro ci propone in modo criticamente curioso, tentando cioè di capire quale tipo di connessioni alternative potrebbero essere, per lui, più funzionali. Attraverso la comunicazione verbale, come vedremo meglio nel capitolo 3°, abbiamo la possibilità di guidare il nostro interlocutore ad arricchire i dati della sua esperienza, a esplicitarli meglio a se stesso e a noi. In altre parole, analizzando i comportamenti e i processi con il nostro interlocutore, possiamo, in un primo tempo, recuperare e far riemergere parti dell'esperienza che l'altro aveva trascurato o dimenticato, in un secondo tempo, possiamo organizzare e connettere questi dati in modo alternativo fino a giungere a costruire una punteggiatura alternativa condivisa, che è il risultato di un'elaborazione comune di punteggiature diverse.


Che cosa ci ha portato a sottolineare l'aspetto della condivisione nel processo interattivo? Che cosa ci ha costretto a considerare il costruire insieme una punteggiatura alternativa come indispensabile per giungere ad una soluzione efficace dei problemi? Il primo obiettivo che noi ci ponevamo, agli inizi della nostra attività nei corsi di formazione, era di portare i trainees a costruirsi un'ipotesi sistemica, secondo il cosiddetto metodo milanese. Con sorpresa ci accorgemmo che i trainees più rapidi ad apprendere tale modalità incontravano serie difficoltà di ingaggio con i clienti. Le loro ipotesi connettevano i dati ricavati dalle domande che producevano differenze in modo interessante e creativo, ma i clienti si mostravano refrattari alle loro proposte.


Che cosa non aveva funzionato? Che cosa c'era di sottinteso o di non considerato nel metodo, che noi non avevamo reso esplicito?


La risposta a questi interrogativi ci apparve con evidenza quando facemmo rivivere in simulata il primo incontro di un trainee con una famiglia, che non aveva accettato di proseguire la psicoterapia. Il comportamento del terapeuta era tecnicamente impeccabile: faceva le domande in modo da verificare se l'ipotesi, che si era fatta, fosse plausibile o no. Quello che trascurava era di verificare se la famiglia seguiva, se la famiglia coglieva le differenze dove lui le coglieva, se la famiglia riusciva a connettere i dati allo stesso modo come lui li stava connettendo.


In seguito la scoperta della teoria della conoscenza di Maturana e Varela (17), che parlano di perturbazione invece che di informazione, ci ha confortato nel proseguire il cammino iniziato. Proprio perché non posso scambiare informazioni, ma perturbazioni che il mio interlocutore trasformerà in informazioni, non posso non preoccuparmi di verificare se il mio interlocutore ritiene significativo e importante quello che per me è significativo e importante.


La condivisione è fondamentale, perché l'interlocutore ha bisogno di sentire la nuova punteggiatura come propria. L'avvertirla come propria è un segnale che questa è entrata a far parte del suo mondo di significati; e questo dà il via libera a compiere i passi successivi.


Un esempio di colloquio


E' la trascrizione della videoregistrazione di una parte dell'incontro con una famiglia così composta: madre di 66 anni, insegnante in pensione, Attilio, 29 anni, programmatore, Katia, 28 anni, programmatrice, il papà è morto da 7 anni.


L'incontro con lo psicologo è stato sollecitato dalla figlia per coinvolgere mamma e fratello ad affrontare il problema della loro convivenza e dalla terapeuta di Katia preoccupata per il rischio di nuovi tentativi di suicidio: il fatto si era già verificato due volte negli ultimi tre anni. I tentativi di suicidio sembravano legati alle esperienze di autonomizzazione che Katia metteva in atto. L'ipotesi della terapeuta della ragazza era quella della presenza di un gioco all'interno della famiglia che rendeva pericoloso per tutti le 'uscite' di Katia, ma quale tipo di gioco fosse in atto non era certo chiaro.


Il terapeuta familiare cerca, all'inizio, di definire il sistema da prendere in considerazione. Per Katia occorre coinvolgere anche Attilio e la mamma, per gli altri due il problema è solo di Katia, che non accetta le regole di casa, contesta tutto ciò che fanno Attilio e la mamma e per cercare l'autonomia dalla sua famiglia, finisce di andare a vivere in casa di 'certi amici'.


Al momento in cui inizia la trascrizione, Attilio ha già ammesso il suo profondo coinvolgimento, mentre la mamma si dichiara ancora estranea al tutto.


A livello di contenuti si sta parlando del rapporto tra Attilio e Katia come di due mondi tra cui non ci sono scambi. Lo psicologo, dopo aver chiarito i processi interattivi, non trascura di interessarsi di che cosa significhino per loro le cose di cui stanno parlando.


P(sicologo): "Per lei che cosa significa il fatto che non ci siano stati scambi?"


A(ttilio): "Non lo so. Forse Katia avrà ancora dei rancori verso di me. Io ho cercato di ricostruire i momenti della nostra vita in comune per trovare questi motivi e non sono riuscito a trovarne uno valido; tranne forse uno. è' un incidente che le è successo....."


K(atia): "Fuori strada completamente"


P: "Questo per lei non è significativo..."


K: "No, è proprio una scemenza. Si tratta di uno scalpello che gli è sfuggito e mi è saltato sul braccio ferendomi; e ridendo gli ho detto: 'L'hai fatto apposta...'; ma non c'entra. Posso rassicurarti!"


A: "Appunto...è quello che mi preoccupa, perché non riesco a capire."


P: "Quindi le rassicurazioni che Katia le dà hanno significato per Katia e non per lei."


A: "Esatto" A questo punto è chiaro che i dati percettivi hanno per Katia e per Attilio due significati diversi. Lo psicologo ha una possibilità: tentare di incrinare l'evidenza delle loro rispettive correlazioni che rendono impossibile ogni intesa. Egli sceglie, quindi, la strada del controesempio, cioè apre ad un confronto con altre situazioni analoghe, in cui altri fratelli utilizzano il livello dei significati per spalleggiarsi e non per combattersi.


P: "Mi colpisce il fatto che avete più o meno la stessa età. Vedo spesso nelle famiglie che fratelli di età molto vicina si spalleggiano quando C'è da ottenere qualche vantaggio dai genitori o quando hanno interessi comuni. Nel vostro caso invece succede che a volte è lei Katia ad essere isolata a volte è lei Attilio, nonostante che ognuno di voi due desideri l'aiuto dell'altro."


K: "Da piccoli giocavamo insieme. Non so che cosa ci abbia diviso. Mi ricordo che io desideravo uscire di casa. Mi sarebbe piaciuto combattere insieme per ottenere questo, ma a lui piaceva stare in casa. Quindi non s'è potuto fare."


P: "Lei, signora dà ragione ad Attilio.?"


Di fronte al paragone con altre famiglie, la madre si sente in dovere di giustificare ciò che è successo nella loro famiglia e apre un discorso sulle 'somiglianze' che si rivelerà molto produttivo per costruire una punteggiatura alternativa condivisa.


M(adre): "Lui ha preso l'abitudine che aveva mio marito, (voce più bassa) che lui aveva in modo addirittura esagerato e che io mi sono in qualche modo adattata. (tono normale) Mi telefonava dal lavoro tutti i giorni. A sua madre continuava a telefonare due o tre volte al giorno, per esempio. e lui ha preso proprio di lì."P: " Lei non faceva così.?"


M: " No.. io ero molto più libera. Telefonavo se era necessario. Anche quando ero giovane telefonavo solo in caso di necessità a casa, se ero in viaggio."


P: "Attilio assomiglia quindi molto a suo marito..."


M: "Anche in certe cose che a lei (indica Katia) danno molto fastidio. Per esempio, quando mio marito arrivava a casa, si sdraiava sul sofà e rimaneva lì per ore. Attilio ha preso queste abitudini."


P: "Una delle cose che noto, è che lei e suo marito avete messo insieme aspetti che adesso Attilio e Katia non riescono a conciliare."


M: (abbassa molto la voce) "Vede, adesso a posteriori, certe cose si possono capire, ma ciò che l'ha portato via (allude forse alla morte del marito) era presente fin dall'inizio. (voce alta) Ma quando era giovane mio marito non era così, era molto libero. Era uno che era sempre a spasso con l'una e con l'altra. (agita la mano in modo vistoso) Capitava, persino, che dava l'appuntamento a tre, magari lo stesso giorno. In casa stava pochissimo."


A: "Questo non me lo aveva mai raccontato..." (risata generale)


P: "Mi pare di poter focalizzare un aspetto interessante, mentre Attilio ha assunto in tutto e per tutto alcune caratteristiche del papà, Katia ha fatto sue altre caratteristiche del papà".


Tutti assentono e ridacchiano


Per tutta la prima parte del colloquio il terapeuta hanno cercato di evidenziare la punteggiatura che questo sistema familiare aveva costruito del suo problema e intanto poneva a se stesso alcuni interrogativi che esplicita in un secondo tempo, utilizzando alcuni importanti aspetti presenti nel discorso degli interlocutori: la differenza fra i due figli, gli aspetti diversi del marito, fino ad arrivare con loro alla costruzione della metafora della somiglianza dei figli con il padre, metafora che produce informazioni sorprendenti per gli stessi familiari e sulla quale C'è un accordo da parte di tutti. Il comportamento analogico ne è la dimostrazione.


M: "Però si è sposato tardi. Il giorno che ha deciso di sposarsi ha detto: 'La famiglia è una cosa sacra'. e non è più uscito di casa. Forse due o tre volte."


P: "E' costato qualcosa a suo marito questo cambiamento?"


M: "Ma non credo, perché nel momento in cui ha deciso di sposarsi, ha deciso di dedicarsi tutto alla famiglia, che doveva esserci questa vita di famiglia...stretta."


P: "Mi riesce più comprensibile il comportamento di Katia." (allude ai tentativi di Katia di autonomizzarsi).


M: "Non mi era venuto in mente di dirglielo, però era proprio così."


A questo punto anche il papà può entrare a far parte del sistema coinvolto anche se è morto da più da sette anni, e tutti sono d'accordo. Il comportamento di Katia che veniva descritto come qualcosa di estraneo alla famiglia, e quindi da estirpare, ora ne fa parte a pieno titolo. Vi è entrato dalla serratura delle somiglianze. Attilio assomiglia a quella parte del padre che ha vissuto solo per la famiglia, Katia a quella parte che amava la libertà. Quindi l'incomunicabilità fra i figli, che la madre all'inizio definisce come "due mondi tra cui non ci sono scambi", incomunicabilità enfatizzata dai figli stessi che sottolineano costantemente ogni differenza tra loro, diventa un modo originale, caratteristico per ognuno di loro di rendere presente il padre in famiglia. Ogni altra tematica precedentemente sondata, aveva trovato soltanto adesioni di qualcuno fra loro, non rispondendo pertanto alla punteggiatura di tutto il sistema familiare risultava, perciò, inutilizzabile.


Una punteggiatura alternativa condivisa si costruisce tramite lo scambio delle rispettive sottolineature sui comportamenti, sulle correlazioni, sulle differenze emerse. Sottolineare significa mettere qualcosa in primo piano, evidenziare qualcosa da uno sfondo indistinto, individuare un tema, una ridondanza. Lo possiamo fare con tutta la gamma degli strumenti che la comunicazione ci offre:


- ribadire un concetto tra i molti,


- utilizzare un tono di voce particolare, ogni volta che compare un elemento da noi ritenuto interessante,


- assumere un atteggiamento di consenso di fronte ad una particolare proposta rispetto alle altre.


Di fronte a questi nostri comportamenti che selezionano alcune tra le molte informazioni che vengono scambiate in un colloquio, il nostro interlocutore risponderà con assensi, perplessità, obiezioni o rifiuti. Questo scambio potrà verificarsi in modo esplicito, con la comunicazione verbale, o in modo implicito con la comunicazione analogica, quindi tramite tutta la possibile gamma dei canali comunicativi.


Per l'operatore sociale è di assoluta necessità riuscire a discriminare ogni tipo di risposta, su qualsiasi tipo di canale comunicativo. E' la comunicazione, infatti, in tutti i suoi aspetti, lo strumento attraverso il quale si definisce un rapporto, si conoscono i criteri, i valori dell'altro e si possono verificare i punti di incontro e di dissonanza rispetto alle reciproche visioni del mondo.


Questo discorso, per la sua importanza, merita un adeguato approfondimento; per questo abbiamo dedicato un ampio spazio nel capitolo 4°.


Costruire una punteggiatura condivisa presuppone un buona capacità di capire, di entrare nella visione del mondo dell'altro e accettarla per quello che è, anche se è molto lontana dalla nostra.


Questo passo da solo, però, non basta a produrre un cambiamento. E' importante saper proporre, facendoci guidare dall'altro, una punteggiatura alternativa. Nella misura in cui questa viene costruita insieme diventa una 'punteggiatura condivisa'.


Per utilizzare una metafora potremmo dire che il processo di sottolineatura interattiva condivisa è come una danza a due o più persone, in cui è difficile definire chi muove prima e chi dopo; è il risultato di un movimento armonioso, prodotto e condiviso da tutti.


Mentre nella trascrizione del dialogo con la famiglia di Katia abbiamo esaminato in dettaglio un breve tratto di un lungo discorso, vogliamo, ora, offrire l'opportunità di cogliere nel suo complesso tutta l'evoluzione del processo di costruzione di una punteggiatura condivisa continuando nell'esposizione del caso di Roberto, che già conosciamo. All'interno di questo cammino potremo notare come l'utilizzo di entrambe le focali, quella delle mappe e quella dei processi può portarci a capire la logica che il comportamento considerato problematico esprime all'interno del sistema interazionale preso in considerazione.


Caso di Roberto: (continua)


L'assistente sociale, dopo avere costruito insieme con i genitori le differenze di comportamento del figlio in casa e fuori casa, si orientò ad analizzare se esistevano correlazioni, corrispondenze tra i loro comportamenti e quelli del figlio.


I genitori, tuttavia, manifestarono grosse difficoltà a seguire l'assistente sociale in questo lavoro. Entrambi incominciarono a raccontare come avessero cercato di seguire sempre i consigli dei numerosi professionisti che si erano occupati del figlio, in passato, fin da quando aveva tre anni, ma tutti quei consigli non erano serviti a nulla.


Nella successiva supervisione l'assistente sociale manifestò il suo disagio per la situazione che si era venuta a creare. Come riprendere a fare differenze e correlazioni? Se i genitori si rifiutavano di seguirla nella strada delle connessioni tra il loro comportamento e quello del figlio, dove occorreva cercare? Di quali informazioni doveva tenere conto per costruire con questi genitori una punteggiatura alternativa, che per un lato, fosse in sintonia con il modo con il quale la famiglia percepiva se stessa, per l'altro offrisse loro l'occasione di vedersi in modo nuovo?


Nei colloqui successivi emerse come con questo sistema familiare interagivano con modalità sempre uguali zii e amici. In particolare una zia materna, sorella maggiore della madre, molto stimata in famiglia, faceva sentire in modo pesante la sua presenza all'interno della coppia genitoriale. Era stata lei a consigliare di inserire Roberto in una comunità. Chiamata più volte in aiuto dalla madre quando Roberto non voleva alzarsi dal letto o non voleva saperne di lavarsi, non si faceva scrupolo di sputare sentenze ora sul padre ora sulla madre e di propinare loro consigli di ogni tipo. Il padre, a questo gioco tra moglie e cognata, sembrava contrapporre un'apparente alleanza con un suo fratello, definito 'quasi psicologo', che vedeva i problemi di Roberto come legati esclusivamente a caratteristiche della sua personalità. "E' sempre stato così già da piccolo... Già da allora era pigro ed indolente".


Qui abbiamo un momento in cui il confronto tra analisi della mappa e quella dei processi, avrebbe potuto aiutare l'assistente sociale a capire la logica del rifiuto dei genitori a seguirla nella ricerca delle connessioni tra il loro comportamento e quello di Roberto. Accettare questo tipo di analisi significava, per loro, un'ammissione di colpevolezza all'interno di una relazione simmetrica tra genitori e zii, tra genitori ed esperti, in cui gli altri erano quelli che sapevano e loro gli incapaci.


Ci parve importante sottolineare una ridondanza significativa nel discorso dei genitori: ogni volta che manifestavano una delusione per qualche intervento esterno, affermavano contemporaneamente di essere riusciti da soli, alla fine, a far fronte alle proprie difficoltà. Implicitamente si dichiaravano come i soli in grado di intervenire efficacemente e ogni tipo di intromissione, anche se apparentemente richiesta da loro, era destinata al fallimento.


A questo punto la logica di ciò che sta succedendo è sufficientemente chiara per l'assistente sociale. Abbiamo, quindi, la possibilità di aiutarla a dare un valore diverso al comportamento dei genitori e di preparare una proposta di lettura alternativa:


"Tu hai detto che questa famiglia, ogni volta delusa, ha affermato di essere riuscita da sola a superare le proprie difficoltà. Prova a valorizzare fino in fondo questa loro affermazione. Prova a pensarli come un sistema che utilizza al meglio le proprie risorse. Che cosa ti verrebbe da chiederti in questa prospettiva?"


"Ma.... che senso ha la loro richiesta di portare Roberto in comunità? Forse un ulteriore tentativo di dimostrare a loro stessi e agli altri che non ci sono interventi esterni che risolvano la situazione?"


"Bene! Allora possiamo ipotizzare, ad esempio, che, questi genitori, non avendo mai ricevuto conferme o approvazioni, né da parte dei familiari né da parte degli operatori, circa il modo con il quale si sono occupati del loro figlio, vengano da noi a mostrarci l'inadeguatezza del figlio e l'impossibilità di chiunque di aiutarlo. Forse si aspettano di trovare qualcuno che si faccia carico del loro disagio, che li aiuti a vedere il positivo di tutti gli sforzi e i tentativi che hanno fatto perché Roberto diventasse autonomo e realizzasse le sue capacità. Forse si aspettano che qualcuno valorizzi ciò che nessuno si è mai sognato di valorizzare: il loro attaccamento per questo figlio al quale, entrambi, ciascuno a modo suo, ha dedicato tutto il proprio tempo e le proprie risorse".


Era importante costruire questa punteggiatura con i genitori. L'assistente sociale decise che, per fare questo, era necessario un passo ulteriore: mettere un momento da parte l'idea che si era fatta di questi genitori come di due persone confuse, che non sanno quello che vogliono, incapaci di prendere decisioni, privi di ogni senso di autorevolezza e per questo più fragili del loro Roberto è incominciare a ricercare con i genitori stessi gli aspetti positivi di tutto ciò che avevano tentato di fare fino a quel momento, aspetti positivi che erano nascosti ai loro stessi occhi.


La scoperta di ciò che aveva funzionato o avrebbe potuto funzionare nei vari tentativi fatti fino a quel momento, permise a questo sistema familiare, che si era presentato bloccato sul piano delle emozioni, di verbalizzare la sofferenza, la fatica, il senso di inutilità e impotenza di fronte alle richieste esterne, che erano vissute in modo tanto più frustrante, quanto più autorevole era la fonte da cui provenivano.


La madre, ad un certo punto piangendo disse: "Tutti mi dicevano di distaccarmi da lui perché era troppo legato a me, allora con grande sforzo l'ho mandato per una estate, aveva allora otto anni, da mia sorella. E' stato un disastro! Quando è tornato a casa sembrava andato indietro di tre anni..."


Come abbiamo già sottolineato, in questo caso i genitori avevano avuto difficoltà a seguire l'assistente sociale, nel momento in cui cercava di costruire con loro connessioni tra il comportamento di Roberto e il loro. Infatti avevano reagito come se fossero stati messi in discussione come genitori. Questo fatto, unito alla ridondanza con la quale sottolineavano l'inutilità di tutti gli interventi precedenti, ci aveva dato un'informazione interessante: era importante cercare con loro, quali erano stati i loro interventi che avevano dato risultati soddisfacenti e quali no.


Su questo piano è stato possibile costruire insieme con loro una punteggiatura condivisa e una risposta al loro problema. Ciò che serviva loro era un appoggio, una consulenza, uno strumento che li aiutasse a usare le loro risorse in funzione di un cambiamento, che si rendeva possibile solo se costruito in armonia con il loro modo di vedersi e percepirsi nella relazione reciproca.


La richiesta di comunità per il figlio divenne una richiesta di aiuto per la famiglia.


AREE RISCHIO


Esistono aree nelle quali può essere particolarmente utile evidenziare i processi. Sono aree in cui è facile far emergere interazioni significative, sulle quali lavorare con successo o che possono darci informazioni precise, su come orientarci nel labirinto dei rapporti interpersonali consolidati. Il conoscere, con precisione, modalità interattive, in queste aree, dà all'operatore sociale istruzioni su come inserirsi all'interno del sistema che lo interpella, senza rischiare di assumere ruoli che siano più funzionali a mantenere l'omeostasi che a portare cambiamenti.


Tra le tante possibili ne abbiamo scelte due:


- area delle decisioni


- area delle soluzioni tentate,che ci paiono particolarmente importanti. Questo non esime l'operatore sociale dalla necessità di controllare se proprio queste siano anche le più significative per l'interlocutore.


L'area delle decisioni.


Fare una scelta che coinvolge altre persone, comporta la necessità di interagire con queste fino a ottenere il loro consenso e la loro collaborazione. Può succedere, tuttavia, che intorno ad una decisione o ad una scelta la posta in gioco non sia il contenuto della scelta stessa, ma il "come" si scieglie e il "chi" prende la decisione. Spesso, le riunioni operative, tra operatori di servizi diversi, sulle decisioni da prendere, per rispondere ad una richiesta ricevuta, possono, per questo motivo, occupare molto più tempo di quanto sarebbe strettamente necessario.


Conoscere come un sistema prende le sue decisioni, mi può difendere da un sicuro insuccesso, guidandomi, ad esempio, nella fase iniziale del contratto o dell'ingaggio. Così, mi può essere di prezioso aiuto, conoscere se esistono modalità diverse di prendere decisioni a seconda dei settori o dei contesti. Infatti, trovata una modalità di prendere le decisioni, non è detto che questa si ripeta in ogni circostanza. L'educazione dei figli, in certe famiglie, ad esempio, può essere esclusivo appannaggio della mamma, mentre al padre viene lasciata l'ultima parola, se si tratta di decisioni di carattere economico e, ad entrambi, le decisioni riguardanti il tempo libero.


Le occasioni, nelle quali è importante scoprire le modalità con le quali vengono prese le decisioni, sono quelle in cui, uno dei partecipanti al sistema, si percepisce perdente o in svantaggio. E' possibile, in questi casi, che il perdente metta in atto strategie di sabotaggio al fine di neutralizzare gli effetti di una decisione indesiderata.


Quando tali effetti non si possono bloccare, la persona che si considera perdente può perseguire obiettivi di rivalsa più o meno scoperti. Molti dei cosiddetti 'conti in sospeso' tra marito e moglie derivano da situazioni conflittuali in quest'area. Selvini e coll. ne offrono dettagliate descrizioni nel libro 'I giochi psicotici nella famiglia'. (11)


Particolare attenzione va prestata alle modalità decisionali emergenti all'interno di un sistema che ci chiede aiuto, quale può essere una famiglia, ad esempio. In una consultazione diretta e simultanea si può osservare, con attenzione, in che modo ogni partecipante si astiene dall'esporsi nel processo decisionale oppure vi partecipa attivamente. E' cruciale mettere in luce il modo con cui le obiezioni vengono trattate: se vengono esaminate e utilizzate o invece se vengono tacitate e lasciate cadere, come se non fossero emerse.


Caso:


La signora Adele accompagna il figlio dallo psicologo, per una serie di sedute di sostegno a carattere preventivo, poiché teme che il figlio possa cadere in un esaurimento nervoso. Nel momento in cui lo psicologo chiede che cosa ne pensa suo marito del problema, la signora afferma con decisione che, nel campo educativo, è lei che decide, anche perché suo marito si è sempre solo interessato del suo lavoro.


Lo psicologo cerca di focalizzare, allora, se il marito è d'accordo con questa sua iniziativa. La signora risponde che suo marito non sa nulla. "Tra parentesi, è necessario che non lo venga a sapere, altrimenti sono guai". Siccome è un'iniziativa che costa, se il marito lo venisse a sapere, potrebbe decidere di proibirne il proseguimento, controllando il flusso dei soldi.


Viene, quindi, approfondito con la signora quale è la divisione dei settori in cui ognuno di loro ha potere di decidere: tutte le decisioni di carattere economico vengono prese da suo marito, a lei spetta il settore della vita di casa, l'educazione del figlio e l'organizzazione del tempo libero. Tutte le aree hanno bisogno, tuttavia, del consenso del marito per iniziative che comportano spese di un certo rilievo.


Emerge che esistono infrazioni a questo accordo, poiché la moglie si sente svantaggiata dal fatto che il settore dei soldi sia saldamente in mano al marito. Questa situazione induce la signora a mettere ripetutamente in atto strategie di sabotaggio; capitano così numerosi incidenti di percorso, nei quali il marito ha l'occasione di scoprire che la moglie ha sconfinato, rompendo gli accordi impliciti.


Lo psicologo, incuriosito, chiede alla signora come fa a sperare che, anche questa volta, non verrà scoperto il suo sotterfugio. "Non si sa mai, per una volta potrebbe andare bene", fu la risposta. Lo psicologo si accertò se l'obiettivo della signora fosse veramente quello di affrontare il problema del figlio. Ricevuto il consenso, si lavorò, nella seduta successiva, per cercare il modo migliore di ottenere anche il consenso del marito. Esisteva un modo per far sì che il marito si facesse carico dei problemi del figlio: il parere di un esperto che godesse della sua fiducia.


Venne elaborata con la moglie una modalità di intervento: sarebbe stato lo psicologo a telefonare direttamente al marito, per chiederne la collaborazione, dopo avergli spiegato per sommi capi quanto era successo. Il marito ringraziò lo psicologo per la sua sollecitudine e si presentò con la moglie all'appuntamento fissato.Le soluzioni tentate


Watzlawick e coll. fanno di questo tema uno degli argomenti centrali di Change (12). Essi sostengono che la formazione dei problemi si verifica quando, di fronte ad una difficoltà, si interviene in modo errato. Indicano tre modalità di interventi errati: 1) Quando "si tenta una soluzione negando che il problema è un problema; bisognerebbe agire, ma non si agisce;2) Quando "si tenta di cambiare una difficoltà che, a tutti i fini pratici, è immutabile ...... o inesistente; si agisce quando non si dovrebbe;"3) Quando "si tenta un cambiamento ad un livello diverso da quello in cui la difficoltà si colloca, ovvero, "si agisce al livello sbagliato."


Nel primo punto, quando bisognerebbe agire e non si agisce, mettere in luce il processo significa porsi nelle condizioni ottimali per poter intervenire. Se una persona non cerca di cambiare una sua situazione, quando è evidente per una persona estranea, che sarebbe necessario farlo, occorre capire come mai questo succeda.


- Può capitare che la persona in questione non sia in grado di discriminare o di percepire quello che per altri è evidente.


Ricordiamo un signore, non sposato, di 32 anni che soffriva saltuariamente di depressione. Non fu facile scoprire a quale processo fosse legato il suo problema. A suo avviso la vita che conduceva era normale e poteva essere, per un certo verso, soddisfacente; aveva il suo lavoro, i suoi interessi, le sue amicizie, non c'era un motivo apparente per spiegarsi le periodiche depressioni a cui andava incontro. Fu necessario aiutarlo a percepire il conflitto in cui era rimasto impigliato e dal quale non faceva nulla per uscire. Continuava ad essere triangolato fra madre e nonna che, da sempre, litigavano sul modo migliore di educarlo e sull'importanza, per la madre, e l'inutilità, per la nonna, di una laurea. Egli aveva dato tutti gli esami all'Università ma non era riuscito in otto anni a finire la tesi. "Non ho bisogno della laurea per il mio lavoro,- diceva- ma..... a ben pensarci, ogni volta che penso alla laurea a poco a poco cado in depressione....forse è per quello che non riesco a finire la tesi". Non avendo la percezione del conflitto in cui era incastrato, non riusciva neppure a dare un senso alle sue depressioni e a fare qualcosa per uscire da quella situazione.


- Può darsi, invece, che una persona percepisca i dati, ma i suoi criteri di giudizio la portino a valutare che il non fare nulla è la migliore strategia, date le circostanze.


Questa era l'opinione del papà di un'anoressica: "Avere fame è una cosa che viene da sé, non vedo, se non ci sono delle medicine, che cosa potremmo fare noi o anche voi, che pure siete degli esperti nel campo. Anzi, io conosco mia figlia, se si cerca di impicciarsi dei fatti suoi, si impunta ed è peggio." - Può accadere anche che il gioco relazionale in cui una persona è coinvolta non gli permetta di fare altro, la costringa all'immobilità.


Abbiamo avuto modo di conoscere un'insegnante, di nome Clara, che si lamentava del suo collega, insegnante di sostegno, che non faceva nulla, era amorfo, senza iniziativa. La cosa diventava un problema quando Clara si assentava, anche solo per qualche minuto. In classe era una baraonda. Aveva discusso molte volte con lui, ma questi aveva sempre minimizzato il problema: "Sono giovani, hanno bisogno di sfogarsi" oppure "Ma no, non hanno poi fatto tanto baccano". Approfondendo con Clara, si scoprì che in passato il collega non era affatto così, anzi era piuttosto attivo, ma con idee pedagogiche diverse dalle sue. C'erano stati una serie di scontri tra di loro, fino a che lei si era appellata al Preside, la cui decisione fu: la responsabile di classe è Clara. Da quel momento il collega aveva assunto quella strana posizione: nulla per lui costituiva problema.


Nella seconda modalità, quando si tenta di cambiare una difficoltà che è immutabile o inesistente, è l'agire stesso che provoca il problema. Questa posizione viene definita 'sindrome da utopia'.


Watzlawick e coll. pensano che si tratti di 'sindrome da utopia' quando i soggetti agiscono per cambiare una difficoltà che non esiste o che comunque è immutabile. Essi ne distinguono tre diverse forme.


- La prima si verifica quando il soggetto si sente incapace di raggiungere l'ideale o la meta della propria vita. In questi casi può essere molto utile sondare in che modo questa persona mantenga per buono un ideale irrangiungibile, non alla sua portata. Oppure come succede che non riesca a cogliere le opportunità che la vita gli offre per proseguire verso la sua meta. O ancora quale importanza abbia per l'economia globale della sua esistenza un ideale così inaccessibile.


- La seconda forma di 'sindrome da utopia' si riscontra quando, data per scontata l'inaccessibilità della meta, il soggetto ristruttura la sua esistenza all'insegna del motto di Robert Louis Stevenson: "E' meglio viaggiare pieni di speranza che arrivare". Molto spesso questa punteggiatura ha lo scopo di evitare le frustrazioni o le depressioni che possono verificarsi per il mancato raggiungimento dell'ideale. I problemi possono sorgere quando, di fatto, occorre fare i conti con la realtà e la tecnica del rinvio non funziona. Tipico esempio: le persone costantemente impegnate a fare progetti sempre più avanzati e completi senza sperimentare nulla in concreto.


Ci viene in mente una comunità per handicappati, nella quale costituì una sorpresa la proposta del supervisore di non dedicare tempo ad esaminare i progetti educativi, ma di concentrarsi sulle difficoltà quotidiane degli operatori. Prestare attenzione a progetti ideali che, di fatto, rimanevano sulla carta, perché troppo generici o troppo astratti, era diventato un paravento che impediva di concentrarsi sulle problematiche di gestione quotidiana e sui conflitti sotterranei che la definizione dei ruoli sollevava.


- La terza variante della sindrome utopica ha come componente fondamentale "un atteggiamento virtuoso, morale, basato sulla convinzione di aver trovato la verità e sostenuto dal conseguente senso di responsabilità necessario ad un'azione missionaria tesa a cambiare il mondo" (13). Essere convinti di conoscere qual'è il bene del bambino o della famiglia di cui ci dobbiamo occupare, può far parte di una nostra visione del mondo, in cui, chi è in possesso della verità, ha il dovere di imporla. Tuttavia, posizioni che possiedono la rigidità che deriva dalla certezza hanno il rischio di avviare giochi ripetitivi e senza fine, o produrre soluzioni che sono peggiori del male a cui si vuole ovviare.


Terzo punto: agire su di un livello sbagliato. Questo può essere molto facile quando non si percepiscono le cornici che danno significato ai gesti che si compiono. Su questo argomento ritorneremo nel capitolo 5°. Vogliamo solo sottolineare, qui, come sia importante avere chiaro il processo che sta alla base del paradosso che imprigiona e guida le persone a ripetere soluzioni che immancabilmente falliranno, allo stesso modo come fallisce il principiante che, di fronte alla tastiera di un computer, si ostina a cercare il tasto per correggere l'errore, che si trova, invece, all'interno del programma.


Ricordiamo che esistono altre aree su cui talora è necessario soffermarsi per evidenziare i processi. Ci limitiamo, per ora, a ricordarle, perché verranno affrontate in modo più approfondito nei successivi capitoli. Esse sono le alleanze e le contrapposizioni, i percorsi delle informazioni, la prassi, i miti e le credenze, i giochi.


CONCLUSIONE


Ora possiamo dire di possedere alcuni strumenti importanti per non perderci nel labirinto della complessità. Quelli che ci servono per formarci delle mappe, utilizzano focali più vaste, poiché organizzano il materiale usando categorie di azione, come simmetria, complementarietà, alleanza o coalizione. Gli strumenti forniti per far emergere i processi, hanno una focale più ristretta, orientata a scomporre ciò che all'interno di una mappa viene categorizzato come 'dato' ed espresso attraverso le varie forme di nominalizzazione (vedi cap. 3¡), come ad esempio può essere il concetto di triangolazione.


Il mettere insieme entrambe le focali ci consente di produrre informazioni di tipo nuovo. Come dice Bateson: "Ogni volta che l'informazione relativa alle due descrizioni viene raccolta oppure codificata in modo diverso, ci si deve aspettare quella che metaforicamente potremmo definire una maggiore 'profondità'. (14)


_____________


(1)Vedi la definizione di punteggiatura a pag. 15


(2) Bateson (3) chiama categorie di azione le classi che radunano al loro interno interazioni che presentano le medesime caratteristiche per l'osservatore. Per fare un esempio, la simmetria è una categoria di azione in cui un osservatore può raccogliere le interazioni, dove due o più soggetti si rapportano in modo da mantenere una posizione di reciproca parità.


(5) Il sistema, nella Pragmatica della comunicazione umana, viene definito come: "un insieme di oggetti è di relazioni tra gli oggetti è tra i loro attributi".


Bibliografia


1. WATZLAWICK, P., BEAVIN, J. H., JACKSON, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pag. 14.


2. CERUTI, M., "La hybris dell'onniscienza e la sfida della complessità", in: BOCCHI, G. e CERUTI, M., (a cura di) La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano,1985, pag. 43.


3. BATESON, G., Mente e natura, Adephi, Milano, 1984.


4. MINUCHIN, S., Famiglie e terapia della famiglia, Astrolabio, Roma, 1976, pag. 90.


5. WATZLAWICK, P., BEAVIN, J. H., JACKSON, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pag. 114.


6. IMBER-BLACK, E., Families and Larger Systems, Guilford Press, New York, 1988.


7. WATZLAWICK, P., BEAVIN, J. H., JACKSON, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971, pag. 61.


8. MINUCHIN, S., Famiglie e terapia della famiglia, Astrolabio, Roma, 1976, pag. 56.


9. DELL, P., "Al di là dell'Omeostasi: verso un concetto di Coerenza", in Terapia Familiare, 12, 1982, pag. 85


10. SPENCER-BROWN, G., Laws of Form, Bantam, New York, 1973.


11. SELVINI PALAZZOLI, M., CIRILLO, S., SELVINI, M., SORRENTINO, A. M., I giochi psicotici nella famiglia, Cortina, Milano, 1988.


12. WATZLAWICK, P., WEAKLAND, J. H., FISCH, R., Change, Astrolabio, Roma, 1974, pag. 52.


13. WATZLAWICK, P., WEAKLAND, J. H., FISCH, R., Change, Astrolabio, Roma, 1974, pag. 65.


14. BATESON, G., Mente e natura, Adephi, Milano, 1984, pag. 99.


15. SELVINI PALAZZOLI, M., BOSCOLO, L., CECCHIN, G., PRATA, G., "Ipotizzazione - Circolarità - Neutralità: tre direttive per la conduzione della seduta", in Terapia Familiare, 7, 1980, pag. 7.


16. PRIGOGINE, I., STENGERS, I., La nuova Alleanza, Einaudi, Torino, 1981, pag. 4.


17. MATURANA, H., VARELA F., Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Padova, 1986.


http://www.eteropoiesi.it/pages/ricerca2.html



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