Quello di Vimodrone è il primo caso in Italia. E' nello stesso edificio di una media pubblica. Il direttore: "I nostri ragazzi convivono benissimo". Milano, nella scuola araba riconosciuta dallo Stato Nasce negli anni '80 per i lavoratori libici finanziato da Agip, Tamoil e dal consolato. Si usano libri madrelingua e in inglese. L'italiano è facoltativo
di SANDRO DE RICCARDIS
L'edificio scolastico di Vimodrone MILANO - Anche ora che le aule sono vuote e gli alunni tutti in vacanza, la palazzina al numero 20 di via Fiume, a Vimodrone, continua a raccontare la sua storia di integrazione che pare impossibile trasferire altrove. La svelano - ancor prima di entrare - i due citofoni sulla cancellata verde. I nomi sono uno accanto all'altro: scuola libica, piano terra; scuola media statale, primo piano. Per ora ci sono gli studenti della scuola pubblica. Tra poche settimane torneranno a scuola anche i bambini di quella libica.
"Quest'anno si riparte a ottobre - dice Amnar Al Joulani, direttore giordano della scuola libica -. Stiamo raccogliendo le iscrizioni da parte delle famiglie: dopo l'estate le aziende comunicano ai dipendenti se resteranno a lavorare a Milano o devono tornare in Libia".
La nascita. La storia parte da un progetto ideato nei primi anni '80, quando alcune aziende petrolifere e il consolato libico a Milano decisero di creare una scuola per i figli dei loro dipendenti che dalla Libia si trasferivano in Italia. "Un giorno sono stato in caricato dalla mia società di preparare il progetto", racconta Amnar Al Joulani, laureato in ingegneria al Politecnico di Milano". Era il 1983. L' istituto nacque a Milano in via Taramelli, vicino alla stazione Centrale, finanziato da Agip, Tamoil e dal consolato libico. "Ci siamo trasferiti a Vimodrone nel 1998: questa sede è stata totalmente ristrutturata da noi", spiega ancora Al Joulani mentre ci spostiamo tra le aule. "Lo scopo della scuola - continua - è stato sin dall' inizio quello di garantire l'istruzione ai ragazzi libici. E' fondamentale evitare che perdano anni di studio per il periodo in cui restano in Italia al seguito della loro famiglia".
Gli esami. La scuola di via Fiume è il primo esempio in Italia di scuola araba parificata, riconosciuta sia dal ministero dell'Istruzione italiano che da quello libico. "Al termine di ogni ciclo scolastico - puntualizza ancora il direttore - si svolgono veri e propri esami per valutare la preparazione dei ragazzi. Su questo siamo molto rigorosi, anche perché i commissari vengono direttamente da Tripoli". I professori - a parte qualche italiano - provengono tutti dal medio Oriente: "Libici, siriani, giordani. C'è anche un ingegnere iracheno, scappato da Bagdad negli anni '80, esule a Londra, dove si è laureato in chimica".
Gli insegnanti delle dodici classi - 120 studenti dalla prima elementare alla quinta liceo - rispettano le prescrizioni e i programmi didattici dell'Unesco. "I nostri ragazzi studiano matematica, storia, fisica e chimica. I libri sono in arabo e inglese - spiega Al Joulani -. Le lezioni si tengono in arabo, ma già dalla scuola media diventa obbligatorio anche l'inglese. L'italiano è un insegnamento facoltativo, ma praticamente tutti i ragazzi lo inseriscono nel loro piano di studi, perché comprendono quanto sia utile nella vita di tutti i giorni". Nella scuola di via Fiume, l'italiano non s'impara solo in classe.
La convivenza. L'istituto libico ha affittato alla scuola media - pubblica - di Vimodrone l'intero piano superiore: meno classi, circa 150 studenti. "La convivenza procede benissimo", dice soddisfatto Al Joulani -. Così bene che i ragazzi organizzano insieme un sacco di attività: eventi sportivi, feste e anche gite, come quella recente nei musei milanesi". Oltre i giochi e le feste, ogni anno si ripete il miracolo dei festeggiamenti comuni per le rispettive feste religiose.
Al Joulani indica le foto appese sui cartelloni al muro. Scritte arabe e scritte italiane si alternano intorno alle immagini delle feste di Carnevale e delle iniziative per il Ramadan. "Le due scuole organizzano in comune anche diverse attività didattiche, com'è capitato per il laboratorio informatico, musicale e di disegno". Il direttore lo ripete più volte: "Non ci piace la definizione di 'scuola musulmana' . Le lezioni rispecchiano senza dubbio la nostra cultura, ma non hanno alcun carattere religioso".
Il modello. Inevitabile chiedere della scuola di via Quaranta: "Il modello di istruzione a cui aspiriamo è molto simile a quello di una qualsiasi scuola pubblica italiana, purché ci sia libertà di scelta per l'insegnamento religioso. Vogliamo rimanere aperti alle diverse culture". Difesa dell'identità linguistica e culturale, ma apertura verso tutte le altre realtà, sociali e religiose. "Vogliamo che la nostra cultura sia utile agli altri. E allo stesso modo ci piace approfondire quella altrui", sintetizza Al Joulani, che dichiara la sua adesione a un idea di Islam più vicino a quella moderata del centro islamico di via Padova, periferia nord di Milano, meno impenetrabile e caratterizzata da un maggiore pluralismo etnico. Una lezione di convivenza, una storia d'integrazione che tra pochi giorni ricomincerà.
(19 settembre 2005)
http://www.repubblica.it/2005/i/sezioni/scuola_e_universita/servizi/viaquaranta/tamoil/tamoil.html
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