''Così cambiano le banlieue'' Intervista al sociologo Robert Castel*
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«Così cambiano le banlieue»


Parla Robert Castel*:
«Nel dopoguerra erano un progetto avanzato.
Ma oggi vi resta solo chi non ha alternativa».

A.M.M. - PARIGI -

 

Professore, come spiega l'esplosione in corso?

Le violenze urbane sono un problema ricorrente, in particolare dopo l'81. Allora, la rivolta fu all'origine di misure speciali per le banlieues, nel quadro della cosiddetta «politica della città». Negli ultimi 20-25 anni, gli episodi di esplosione sono stati vari. E' il problema tipico dei cosiddetti quartieri sensibili. Qui si registra una concentrazione di gente che accumula handicap sociali: tassi di disoccupazione più alti che altrove, soprattutto tra i giovani, una forte proporzione di cittadini di origine immigrata di seconda o terza generazione, con attorno un razzismo non trascurabile. In più c'è un forte antagonismo nei confronti della polizia, che porta a una specie di guerriglia permanente tra giovani e agenti.

In 25 anni la situazione è peggiorata?

In effetti si è verificato un cambiamento in queste banlieues, che erano state costruite nel quadro della crisi della casa dopo la seconda guerra mondiale, ed erano considerate allora una soluzione progressista, per la classe media e operaia, che veniva alloggiata in condizioni di habitat moderno e funzionale, superiore all'alloggio precario che avevano prima. Ma progressivamente la composizione della popolazione è cambiata, con l'arrivo di una forte percentuale di persone di origine immigrata, con una forte disoccupazione. Questo ha fatto sì che la gente che stava meglio, quelli più integrati, se ne sono andati con il passare degli anni. Adesso, nelle banlieues c'è chi non può andarsene. Ci sono anche dei «piccoli bianchi», francesi di origine, sovente disoccupati, loro stessi in una situazione difficile, che imputano alla gente che viene da fuori di creare concorrenza sul lavoro, di vivere di aiuti sociali che dovrebbero andare ai soli franco-francesi. Sono i temi di Le Pen, che trovano orecchie sensibili. Intorno al 2000 la situazione si è aggravata, per l'aumento della disoccupazione e la diffusione dell'ideologia della sicurezza: alle presidenziali del 2002 la questione della sicurezza è stata al centro e si è in buona parte focalizzata sulle popolazioni della banlieue, soprattutto sui giovani, diventati il capro espiatorio di tutte le inquietudini. Al prezzo di creare una gran confusione tra giovani e delinquenza. La delinquenza esiste, non si tratta di fare del buonismo, in questi quartieri i tassi di criminalità sono superiori ai quartieri del centro, esiste un'economia parallela. Si combinano così fattori di insicurezza civile con fattori di insicurezza sociale e si fa un'amalgama tra i due. E Sarkozy non ha fatto che insistere sull'aspetto della delinquenza, sull'insicurezza civile.

C'è qualcosa che è stato fatto e che ha funzionato per evitare che le esplosioni si ripetano ?

Non si può dire, in effetti, che non sia stato fatto nulla, dopo l'81 e dopo le prime violenze spettacolari. Sono state prese una serie di misure senza le quali la situazione sarebbe peggiore, ma che non hanno permesso di controllare del tutto la situazione. Da trent'anni è in corso una dialettica tra prevenzione e repressione e sono stati fatti molti sforzi a favore della prevenzione. Per esempio, nelle scuole, la creazione delle Zep - zone di educazione prioritaria - è stata una buona idea di discriminazione positiva. Ma recentemente il bilancio è negativo, la descolarizzazione è forte, si registra un diffuso rifiuto della scuola, il fallimento scolastico interessa molti giovani. E non va dimenticato che sul mercato del lavoro esistono e continuano le discriminazioni nelle assunzioni

I sindacati potrebbero fare qualcosa ?

Cosa? La disoccupazione di cui stiamo parlando non riguarda chi resta senza lavoro per qualche periodo, ma chi il lavoro proprio non ce l'ha. Significa non poter accedere al mercato del lavoro né ora né in futuro. E se non si può lavorare, bisogna ben vivere in qualche modo, quindi si ricorre ad espedienti vari. La repressione non è una soluzione, ma la prevenzione neppure. Anche se i mediatori, gli operatori sociali impediscono l'esplosione, non risolvono il problema. L'occupazione è la soluzione, ma come si fa a decretare la fine della disoccupazione?

Le provocazioni dell'estrema destra possono favorire un ripiego comunitario, che può aprire la strada a una deriva islamista, visto il ruolo che hanno assunto degli imam per riportare la calma ?

E' una possibilità, un rischio, se l'islam diventa il solo rimedio possibile .



 

*Robert Castel è sociologo, direttore di studi all'Ecole des hautes études en sciences sociales. E' autore, tra l'altro, de «Les métamorphoses de la question sociale. Une chronique du salariat» pubblicato da Fayard nel 1995.


www.ilmanifesto.it - 5 novembre 2005


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