![](img/puntoverde.gif) |
a.cardamone "diario del mare"
Francesco De Napoli
|
Alfonso Cardamone, diario del mare. Poesie. Prefazione di Marcello Carlino. Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2011, pp. 64.
“Diario” da intendere come registro-quaderno, saltuario e occasionale, di istantanee senza tempo, la cui durata infinitesimale, fulminante e giudiziosa, accorta, si dilata e si restringe in un gioco di fotogrammi i cui impulsi paiono concepiti e catturati in attimi vorticosi, per poi offrirsi allo sguardo in maniera prolungata, estenuante.
Che d’una “auto-provocazione” (intima e privata, come tutti i diari, epperò anche pubblica) in guisa d’appunti e annotazioni si tratti, ce ne accorgiamo subito dalle connotazioni temporali presenti in molti canti del poemetto: l’alba, la notte, la primavera, maggio, settembre... In realtà, questi “straniti” riferimenti ai giorni e alle stagioni stanno lì a rappresentare il loro esatto contrario: Alfonso Cardamone considera il “respiro abissale del mondo” come se si trovasse immerso nel plasma indistinto e indecifrabile d’un universo parallelo, protostorico. Egli si sente spinto - è errato parlare d’una qualche forma di “costrizione”, bensì della volontà d’andare sempre “oltre” in questa mitica ricerca - a fare ricorso alla promordiale e reinventata “polivocità” del verbo, onde rimediare ai limiti concettuali ed espressivi d’un rimirare ostinato privo d’un senso preciso: “presi il coltello per fare la punta / alle parole”, è il fuggevole, ma illuminante, riferimento all’arduo lavoro della scrittura poetica.
In una paradigmatica ed esemplare “notte greve sterminata e senza / stelle”, si direbbe pressoché latitante la luna, fino ad oggi regina “incontrastata” (ma era proprio così?) dei precedenti notturni di Cardamone, a cominciare dalle liriche ambientate in luoghi di mare. Tramutatosi in una presenza soffusa e marginale, il satellite della Terra - agognato e riconosciuto simbolo della vita e della fertilità - appare incapace di incidere su un orizzonte che “illanguidisce e trascolora”. Tutto è sovrastato invece dall’accecante sfera solare, selvaggia e implacabile con la sua canicolare “scimitarra” (che toglie il respiro, come “sgozzando”), palpabile allegoria della morte e presagio d’un’ineluttabile fine: “òmega del nulla”, scrive il Poeta.
In questo gioco dialettico tra vita e morte, ovvero tra luna e sole, a fare da tramite è l’“enigma del mare” con la sua danza inesauribile e ipnotica di flussi e maree, dinanzi al transitare di torbe di turisti frivoli e indifferenti. Pare quasi di vederli, specie nella bella stagione, questi vandali rumorosi e insolenti, con i loro “umori rancorosi” e lo sfrenato, galoppante “velo d’appestati desideri”.
Con Alfonso Cardamone siamo lontani da quel genere di poesia descrittiva, avventurosa e romanzata (o fiabesca) avente come tema il mare, che ha fatto la storia della letteratura e che continua - se vogliamo, giustamente - ad essere tramandata e additata (pensiamo alla Ballata del vecchio marinaio di Coleridge), invero soprattutto per finalità strettamente didattiche e formative.
Epperò, gli studi accademici, che per forza di cose devono essere esaustivi, rispondono ad esigenze diverse da quelle di sperimentazione e di ricerca creativa. La nuova poesia - fine Novecento e inizi del Terzo Millennio – ha fatto piazza pulita di convenzioni e luoghi comuni, di sentimentalismi a buon mercato, di impacci cervellotici e zavorre rielaborate e fantasiose. Certo, la tradizione è importante, ma la poesia contemporanea deve guardare soprattutto alla lezione di maestri come Derek Walkott, Sylvia Plath, Seamus Heaney, Yves Bonnefoy, i quali hanno rivoluzionato il modo di fare poesia. Se proprio siamo tentati dall’idea di guardare al passato, ripartiamo allora dall’attualissima e immortale Odisse di Omero, summa ideale d’ogni tipo d’indagine e di qualsivoglia problematica letteraria, filosofica ed esistenziale.
La cifra della vera poesia, oggi, è il frammento: scheggia concettuale, visiva, immaginativa, linguistica. Cardamone si esprime mirabilmente lungo questa “rotta” (per usare un termine marinaresco), a lui perfettamente congeniale, perché rientra nel suo DNA poetico.
Anche quando si cimenta con il genere indicato nella Prefazione - con le dovute cautele - da Marcello Carlino “vocazione al racconto e all’apologo”, egli non tradisce la sua natura di inflessibile censore del verbo (e del verso). Infatti, leggendo il frammento intitolato “novella del pescatore del tempo e del mare” – un autentico capolavoro – m’è venuto subito da pensare, per l’appunto, a Coleridge, a Wordsworth, a Rimbaud, a Baudelaire e ad altri. Ma ad imporsi è il confronto con il nostro Eugenio Montale, in particolare con i versi di Casa sul mare: “Il cammino finisce a queste prode / che rode la marea col moto alterno” (in Ossi di seppia).
Nella poesia di Cardamone mancano case-costruzioni (affiora appena il rudere – quasi l’albero/relitto d’una nave – d’un campanile “tra le bocche dei canali”), da intendere come ripari, rifugi, gusci protettivi, barriere contro l’ignoto e il mistero dell’essere. Non esistono, né il Poeta cerca, remote e ipotetiche vie di fuga, illusori varchi da superare. A livello linguistico e stilistico tutto ciò si traduce in Cardamone, rispetto a Montale, nell’assenza di punti di riferimento, di limiti pur nella meticolosità pensosa e circostanziata del contesto. A parte il “serpentino mare”, l’ambientazione è statica, priva di movimenti, di ripetizioni: ma proprio per questo - diversamente da Montale - potremmo azzardare che il viaggio di Cardamone “non finisce a questa spiaggia”. L’essere “senza tempo”, qui o altrove, innesca la disperazione/pacificazione dell’impavida (e/o indifferente) accettazione dell’ignoto, forse la dissoluzione/purificazione della morte: “(...) ne gioì amaramente il pescatore / a cui era noto che alle sue spalle solo / una deserta morte era ad aspettare”.
È uno status esistenziale che mi riporta alle parole di mio padre, pronunciate sul letto di morte: “Devo morire sul mare” (in Padre mio, da “Carte da Gioco”, Osanna, Venosa 2011). È il caso di citare l’“assurdo” - totale e reale - di Albert Camus, il suo trionfante “sole invincibile”.
aprile 2012
in recensioni e presentazioni: ![Dal fasto, alla decadenza, al declino](img/art1.gif) ![Ignazio Apolloni: la personalità, lo scrittore, un’esperienza di lettura.](img/art1.gif) ![Carte da gioco. Trilogia dell’infanzia](img/art1.gif) ![“Welfare all'italiana”](img/art1.gif) ![Prefazione a DETECTIVE STORIES di Ignazio Apolloni](img/art1.gif) ![Nell’Odissea delle Parole](img/art1.gif) ![a.cardamone](img/art2.gif) ![Il piede e l’orma4. “marginidue”. La generazione oltre la tangenziale](img/art1.gif) |
|
|