L’ORALITA’ E IL SAPER PARLARE - Verba volant, scripta manent… ma, sapendoci fare, anche verba manent. Di Paolo E. Balboni
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L’ORALITA’ E IL SAPER PARLARE


Prof. Paolo E. Balboni
Cattedra di Didattica delle Lingue Moderne
Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari Europei e Postcoloniali
Zattere 1405 - 30125 Venezia, Italia
balboni@unive.it
Tel. 041.2577845 Fax: 041.2577850


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La focalizzazione sull’oralità non è certo una novità nella storia della glottodidattica: per millenni l’insegnamento della lingua è stato orale e solo con il Sei-Settecento, nelle scuole gestite da ordini religiosi, la scrittura prese il sopravvento. Berlitz, Palmer, Sweet, Jespersen all’inizio del XX secolo reagirono alla centralità della scrittura (e della grammatica normativa) nei due secoli precedenti, e un richiamo all’oralità venne anche negli anni Cinquanta-Sessanta con quell’approccio che in italiano chiamiamo "strutturalistico" ma che in inglese era audio-lingual approach, con chiara centralità dell’oralità.
Ma è con l’aprirsi delle frontiere, dei viaggi, dei mass media che il tema dell’oralità è diventato centrale anche per la scuola italiana, sebbene sia rimasto quasi sempre al livello di enunciazione di principi scritti nei programmi piuttosto che di pratica di classe. Il Progetto Lingue 2000 richiama fortemente l’attenzione sull’oralità. Le principali difficoltà di un insegnamento centrato sull’oralità – oltre alla tradizione in cui siamo cresciuti e che, pur contestandola, si tende a perpetuare nell’insegnamento –rimandano tutte alla natura dell’oralità, cioè al fatto che avviene in tempo reale, che è veloce, non totalmente programmabile: verba volant.


L’incertezza della lingua orale
Non è vero che la lingua scritta sia più "certa" dell’orale, ha solo molto meno flessibilità dell’orale: la lingua parlata è più imprevedibile e di maglia larga circa il rispetto preciso della cosiddetta "norma", ma in realtà il distacco tra lingua orale e lingua scritta è minima rispetto al complesso di elementi comuni.
Non si tratta dunque di un problema di "certezza grammaticale", quanto piuttosto di certezza in alcune operazioni glottodidattiche:



  1. scelta dei materiali per l’ascolto: l’oralità si basa su un ritmo rapido: chi parla che sceglie il ritmo, la velocità, il livello di chiarezza e di accuratezza fonologica, e chi ascolta deve accettare il ritmo scelto dall’interlocutore: spesso si predilige quindi materiale artefatto, innaturale, con dialoghi rallentati, una scansione fonologica perfetta, e così via; i parlanti dei nastri di molti manuali non esistono nella vita reale, per cui un insegnamento orientato verso l’oralità deve privilegiare materiali verosimili, anche se non necessariamente autentici: materiali in cui gli attori improvvisano un dialogo su una traccia adeguata alla situazione dell’unità didattica, pur considerando il livello linguistico raggiunto nelle precedenti unità
  2. attività di correzione di un dialogo: bloccare uno scambio orale tra compagni per correggere un aspetto morfosintattico sarà pure corretto sul piano linguistico ma certo fa abortire la comunicazione sul piano pragmatico e quindi demotiva: la scelta di intervenire o non, che l’insegnante deve compiere in un attimo, è quindi molto difficile; correggere l’oralità significa farlo coram populo, con tutti i problemi affettivi che ne conseguono, mentre allo scritto è possibile intervenire con commenti destinati solo ad un singolo allievo: si tratta quindi di abituare gli allievi alla correzione di errori intesi come fatti normali, passi obbligati nell’acquisizione di una lingua straniera, eventi inevitabili nell’oralità
  3. valutazione: L’orale è rapido, irrecuperabile - a meno che non sia stato registrato; ciò significa abituare gli allievi ad essere talvolta registrati in modo da poter poi tornare indietro ed analizzare le loro esecuzioni linguistiche, lavorandoci insieme a tutta la classe
  4. riscoperta del monologo: Tranne che durante le interrogazioni (che nell’insegnamento della lingua straniera sono praticamente scomparse) l’allievo non esercita l’abilità del monologo; sul piano della gestione della classe, anche qualora si volessero tentare dei monologhi, la situazione sarebbe complessa: stress affettivo per chi deve parlare in pubblico in lingua straniera, disturbo e disattenzione da parte di chi dovrebbe starlo ad ascoltare; è quindi necessario organizzare dei compiti a casa in cui ogni studente registra qualche minuto di monologo sul tema discusso in classe, adattandolo magari alla sua realtà effettiva, e poi consegna la cassetta al docente che la ascolterà e commenterà a casa sua.

E’ ben vero che l’oralità ha queste caratteristiche di natura comunicativa e pone questi problemi di ordine didattico – ma la lingua è primariamente orale, e non possiamo tradire la realtà per mera comodità di insegnamento: lavagna, quaderno, tutti insieme a pagina x…. E’ una inganno nei confronti degli allievi.
E comunque si è fuori dal Progetto Lingue 2000.


Verba volant, scripta manent… ma, sapendoci fare, anche verba manent


Per poter insegnare privilegiando la lingua orale dobbiamo tener presente le due dimensioni, quella comunicativa immediata (per cui non posso interrompere chi sta parlando per correggere un errore, come si è detto sopra, e quella della riflessione su quanto si è prodotto. E’ vero che verba volant, ma è anche vero che se sono registrate verba manent: registrare un dialogo e riascoltarlo permette di riflettere, scoprire errori ed interferenze.
Si potrà quindi:



  1. far accettare il fatto del riascolto delle performance orali come ovvio, naturale, quotidiano: dopo un poco il timore scompare
  2. insinuare l’idea che sia un onore, un vantaggio essere analizzati insieme dal docente e da tutti i compagni: lo studente analizzato non è sul tavolo dell’anatomopatologo, ma è in palcoscenico, centro di tutta l’attenzione, oggetto di studio e di interesse
  3. evitare di diventare gli anatomopatologhi della lingua: non sadici evidenziatori di errori, ma analisti distaccati di quanto è stato fatto in un modo e poteva meglio essere fatto in un altro accentuare non solo i difetti, ma anche le cose ben fatte, le frasi ben strutturate, le pronunce esemplari.

Insegnare a dialogare
Normalmente si dice "insegnare a parlare" in lingua straniera; in realtà "parlare" è un termine troppo vasto in quanto include:



a. monologo: è in qualche maniera il corrispondente orale di una composizione scritta e si effettua di solito nelle interrogazioni (che sono fortunatamente quasi ovunque scomparse, nell’insegnamento della lingua straniera) o nei casi in cui gli studenti riferiscono su quello che hanno fatto il giorno prima, sulle loro vacanze, su una visita all’estero e così via.
Questo tipo di monologo è coerente con le indicazioni del Common European Framework e con la filosofia del Progetto Lingue 2000: è infatti un uso comunicativo della lingua, mentre certo non lo è – visto che manca ogni information gap, non c’è nulla da dire che l’insegnante non sappia già – la classica domanda del tipo "parlami dei fiumi della Francia".
Quando si deve parlare in un monologo, il processo base prevede



    • la decisione di quali informazioni inserire nel proprio testo
    • la realizzazione del testo su tale base


Non ci dilunghiamo su questi processi perché sono simili a quelli che discuteremo parlando del ruolo della scrittura, nella puntata 5.



b. dialogo: Si tratta del parlare per scambiare informazioni.
I processi che sottostanno al saper dialogare sono molto simili a quelli della produzione, tranne per tre aspetti che costituiscono degli obiettivi specifici:





    • il copione mentale che un parlante può aver previsto per uno scambio comunicativo va continuamente integrato in base alla dinamica dello scambio stesso, alle informazioni che l'interlocutore aggiunge, alla negoziazione con l'altra persona; imparare come questo tipo di elasticità è essenziale per saper dialogare proficuamente




    • la realizzazione linguistica del dialogo richiede una forte attenzione ai meccanismi di coesione (come ci si raccorda alle battute precedenti) e alle convenzioni che regolano il modo in cui si dà e si prende la parola, in cui si può interrompere l'interlocutore, in cui gli ci si rivolge, ecc.




    • nell'interazione orale la comunicazione verbale si intreccia i vari codici extralinguistici, la cui padronanza diviene dunque un obiettivo essenziale e che rimanda all’uso del video, di cui discuteremo in seguito.


Ricordiamo alcune delle tecniche utili per lo sviluppo di questa competenza, rimandando come negli altri casi al nostro Tecniche didattiche per l’educazione linguistica per un approfondimento. Ordiniamo le tecniche in ordine crescete di libertà lasciata allo studente, dalla drammatizzazione che non ne consente alcuna sul piano situazione e linguistico (anche se lascia liberi su quello paralinguistico: intonazione, enfasi, velocità), al roleplay libero.


Drammatizzazione


Si tratta di una forma di simulazione che non concede alcuna libertà, trattandosi di recitare (leggendo oppure a memoria) un testo predisposto dal manuale, dall'insegnante o dalla classe stessa.
Il suo scopo è quello di fissare le espressioni che realizzano i principali atti comunicativi.
Specie se viene registrata e poi analizzata insieme agli allievi, essa consente di lavorare in profondità sugli aspetti fonologici, paralinguistici; se si ha una videoregistrazione la riflessione può considerare anche gli aspetti extralinguistici della competenza comunicativa.
Tra i vantaggi di questa tecnica emerge la quantità di lessico che viene memorizzato, nonché l'uso di esponenti di molte intenzioni comunicative comuni.
Non è utilizzabile a fini di verifica.


Dialogo a catena


Un allievo (o l'insegnante) inizia un dialogo (ad esempio: "Quanti anni hai?") ed un suo compagno risponde e poi rilancia la domanda ad un altro ("10 anni. E tu?") e così via.
Questa tecnica è adatta ad esercitare e fissare gli atti comunicativi nonché le strutture grammaticali con cui essi si realizzano.
Ben accetta tra bambini, la drammatizzazione lo è sempre meno via via che l'età degli allievi cresce. Può essere impostata come gioco a squadre, in cui a ogni risposta errata o ritardata un allievo viene eliminato.
Questa tecnica non è utilizzabile per la verifica.


Dialogo aperto


Si presentano le battute di un personaggio e l'allievo deve inserire quelle dell'altro personaggio, tenendo conto della coerenza globale del testo e della coesione con le battute precedenti e seguenti. Prima di iniziare ad inserire le sue battute l'allievo deve studiare le battute del suo 'interlocutore', in modo da avere chiaro il contesto prima di svolgere il dialogo aperto oralmente, interagendo con un altro allievo, con l'insegnante o con un (video)registratore.
Se si effettua il dialogo aperto per iscritto sorgono problemi di correzione, in quanto la lingua orale è profondamente differente da quella scritta.
Questa tecnica, che opera sia al livello dei processi testuali sia della competenza pragmatica, è difficile e può generare ansia se svolta in tempo reale interagendo con una audiocassetta. Il dialogo aperto risulta più motivante se proposto come attività di problem solving, interagendo con un compagno che segue il copione prefissato.
Registrare un dialogo aperto può risultare proficuo perché permette di analizzarlo poi in classe.
Il dialogo aperto può essere usato in attività di testing e anche in fase di recupero, affiancando allievi più preparati a compagni che incontrano difficoltà.


Role-taking, role-making, roleplay


Si tratta di vari tipi di attività simulative che vanno da




  • una simulazione molto guidata, basata di solito su un dialogo già visto nei materiali in adozione e che subisce poche variazioni (role-taking)
  • attività in cui la creatività dell'allievo è presente in maniera più decisa, per cui i materiali indicano cosa deve dire ciascun personaggio ("Salouta", "rispondi", "chiedi come si fa ad andare a…", "Guarda la piantina e rispondi") ma si mantengono comunque all’interno di ciò che è stato studiato (role-making)
  • per giungere fino al roleplay, in cui si costruisce un dialogo sulla base di una situazione, senza l’indicazione passo per passo di quello che si deve dire nelle varie battute.


L'atteggiamento degli allievi può essere contraddittorio: da un lato, il fatto di potersi esprimere liberamente, di poter parlare dei propri gusti, sono elementi che rendono ben accetta la tecnica; d'altro canto, il fatto di essere esposti al giudizio dei compagni crea ansia.
La (video)registrazione dei roleplay può consentire la discussione collettiva sull'efficacia, l'appropriatezza, l'accuratezza, la scorrevolezza degli interlocutori.


Canzone


La canzone va proposta con il consueto corredo di attività da svolgere prima, durante e dopo l'ascolto, anche se di solito si procede strofa per strofa anziché con l'intero testo. In seguito, la canzone viene proposta come guida alla produzione chiedendo agli allievi di cantare insieme alla fonte - che dovrà essere tenuta ad un volume abbastanza basso per costringere gli allievi a cantare a sottovoce.
Quanto all'abilità di ascolto esercitata attraverso la canzone, si tratta di un tipo di ascolto altamente interferito da rumori (cioè l'accompagnamento musicale e ritmico) e caratterizzato da profonde modificazioni fonologiche: i fonemi si allungano o abbreviano a seconda delle necessità musicali, l'intonazione segue la melodia e non le regole linguistiche, il tono e il timbro di voce è diverso da quello del parlato.
Ci sono canzoni in cui, attraverso ripetizioni e ritornelli, alcune strutture o espressioni vengono più volte ripetute: esse possono venire dunque utilizzate per la fissazione.
Questa tecnica non pare adatta alla verifica, a causa della musica di sottofondo.


Telefonata


La telefonata è diversa dal roleplay in quanto non si ha contatto visivo tra gli allievi, per cui la comunicazione prescinde da ogni supporto extralinguistico: non è possibile ricorrere a gesti, suggerimenti, indicazioni visive, espressioni del viso, e così via: tutto deve essere verbalizzato.
Se si usano apparecchiature quali dei walkie-talkie o almeno delle paratie (una tenda, un cartone messo verticalmente, ecc.) si costringono gli studenti a uno sforzo comunicativo fortissimo


I grandi problemi delle attività di simulazione sono due, uno di natura psicologica e uno di gestione della classe.


Nel primo caso la domanda è: perché un bambino di Roccaverdina di Sotto deve parlare in tedesco con un suo compagno di Roccaverdina di sopra, con cui parla quotidianamente in italiano? In realtà il problema non si pone per i più piccoli: simulare una conversazione fa parte delle mille attività di gioco (si pensi a play, spiel, jeu che compare in tutte le lingue quando si deve giocare un ruolo); con i più grandi bisogna porre attenzione a conservare l’impianto giocoso, per cui alla base della conversazione deve esserci qualcosa da fare: una caccia al tesoro, una gara di tempo nel chiedere e dare informazioni, una proiezioni di sé in età più adulta e nel mondo straniero. Come vedremo parlando delle tecnologie, una piccola videocamera collegata ad internet può risolvere il problema: si può davvero parlare con coetanei stranieri – e in vista di tale evento, gli studenti sono disposti ad ore di prove e simulazioni.


Nel secondo caso il problema è legato a



  1. rumore: cinque o sei coppie di ragazzini che parlano fanno rumore; ma siccome si insegnano lingua vive, come dicono i francesi, bisogna accettare il rumore della vita… Certo non è da augurarsi una classe silenziosa ma in cui non si impara a comunicare;
  2. durata: la coppia di studenti deboli si accontenta di due battute, quella di studenti estroversi va avanti cinque minuti; la coppia con uno bravo e uno debole si blocca, per mancanza di feedback da parte di quest’ultimo; altri ci mettono due minuti a distribuirsi i ruoli… La soluzione può trovarsi nel mettere una musica di sottofondo (che costringe a parlare piano, risolvendo il problema "a", per poterla sentire) e alla conclusione della musica il roleplay è finito, a qualunque punto siano giunte le varie copie;
  3. creazione delle coppie: non si possono creare sempre coppie di pari livello né di diverso spessore, per le ragioni viste sopra: l’unica soluzione è al continua varietà, l’evitare il fossilizzassi delle coppie;
  4. aiuto: gli studenti chiedono aiuto per ogni parola che non sanno: dirgliela non aiuta certo, perché nella vita non avranno l’insegnante accanto; è un sistema duro, ma va attuato: nelle simulazioni ognuno si arrangia con quello che sa fare
  5. correzione: non si può interrompere la comunicazione in atto per intervenire a correggere qualcosa; si può tuttavia usare un registratore e prendere una delle simulazioni per riascoltarla tutti insieme, commentano i successi e i fallimenti comunicativi; oppure, a fine simulazione, si può chiamare una coppia recitare il dialogo per tutti, in modo da poterlo poi commentare: ciò significa che con la prospettiva di essere chiamate coram populo anche le coppie più propense a perdere tempo, a distrarsi nella distribuzione dei ruoli, a ridacchiare e prendersi in giro, divengono molto più attente a fare la propria simulazione che diviene una sorta di prova generale di ciò che possono essere chiamate a fare in pubblico.


    A Cura del Ministero della Pubblica Istruzione



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