Il grande bugiardo
Gennaro Carotenuto - 05-10-2006
Dallo Speciale Il tempo e la storia



E' in uscita un'altra pansata. Questa volta si chiama addirittura La grande bugia. Le sinistre italiane e il sangue dei vinti**.
La grande bugia sarebbe la Resistenza. Tra lo spellarsi le mani di tutte le destre passate e presenti, basta dare un'occhiata alle lodi del Giornale o del Tempo, Giorgio Pansa ha "scoperto" le vulgate antiresistenziali di destra ed estrema destra. Le ha fatte proprie, pretende che siano verità rivelate e dogmi di fede. Le spaccia come frutto di un proprio cammino di purificazione e intima alla sinistra, alla comunità scientifica, a chiunque si sia occupato con professionalità e dedizione della guerra di Liberazione negli ultimi sessant'anni di ammetterlo: erano tutte balle inventate dai comunisti.

Per Pansa va buttato nella spazzatura il lavoro di sessant'anni di decine di storici professionisti. Ventila tra le righe che fossero tutti pagati dal Cremlino e che per esempio a Torino nel 1943 non ci siano stati scioperi, nessuna insurrezione nel 1945, "a noi c'hanno liberato l'americani" e chi ricorda anche i partigiani, ricorda male perché vuole ricordare male. Ci sciorina il suo microcosmo di Casale Monferrato dove i contadini "non ne potevano più dei partigiani razziatori" come se in Italia nel 1944 qualcuno potesse pretendere di fare la propria vita disinteressandosi della guerra e dell'occupazione.
Bisogna domandarsi se Pansa sappia per esempio chi sia Claudio Pavone, se conosca un lavoro come Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, ripubblicato quest'anno da Bollati Boringhieri, che lo aveva pubblicato originariamente nel 1991, che già 15 anni fa faceva con rigore scientifico il punto sull'uso pubblico della Resistenza da parte della sinistra comunista, e sul rapporto con gli sconfitti che per Pansa non dovremmo più neanche chiamare fascisti. Perché chiamarli fascisti è una maniera di levare loro voce (sic!).
Forse bisognerebbe ignorare l'oramai annuale almanacco antiresistenziale di Pansa, ogni anno più gridato e grossolano, che con la scusa di dare voce agli sconfitti finisce per riabilitare le presunte ragioni di questi, e debilitare le ragioni dell'antifascismo e della stessa costituzione repubblicana. Bisognerebbe ignorare quell' "io, che pure sono di sinistra, devo ammettere che" sul quale Pansa costruisce il suo successo di vendite. Una formuletta ammiccante a destra che in conclusione vuol dire che noi eravamo uguali a loro, torturatori e torturati, occupanti ed occupati, pescecani e morti di fame, chi con il fascismo e la guerra ha fatto i soldi (eccola parte della zona grigia) e chi ha dato la vita per liberare l'Italia dal nazifascismo.
I comunisti volevano la Rivoluzione e sarebbero andati sui monti per questa. Combattere il fascismo era incidentale. Tutta la Resistenza sarebbe macchiata da questo peccato originale. Riuscire a far passare un ideale rivoluzionario, la speranza di un mondo migliore, una militanza generosa e spesso eroica, ricondotta sempre alla legalità repubblicana dai dirigenti del PCI, come un complotto criminale del quale i comunisti si sarebbero macchiati, è un'operazione di profonda malafede politica da parte di Giampaolo Pansa. Da Salerno alla Costituente e per tutta la storia del PCI, la realtà non è quella che si ostina a disegnare Pansa. La realtà è che nessuna insurrezione, nessun colpo di stato, nessuna rottura democratica è mai venuta dal PCI, né con la Resistenza, né nel dopoguerra, né successivamente, né negli anni '70 con lo stragismo e la strategia della tensione, quando proprio il PCI ha rappresentato la pietra angolare della nostra democrazia.
Ma Pansa non fa lo storico, e neanche più il giornalista. Quindi può prescindere dalla realtà storica per riprendere ogni vulgata revisionista (nel senso deleterio del termine) ed affidarsi ai peggiori umori neri di questo paese. Pansa fa il polemista, non deve dimostrare una sola parola di quello che dice, e infatti non la dimostra. Gli basta appoggiarsi alla rivisitazione delle sue memorie giovanili per scegliere la sua redditizia nicchia di mercato e vendere in quella fetta di pubblico recettiva, nella quale si accomunano le destre di sempre e quelle sinistre che hanno capito come va il mondo. Se le penne di destra, fasciste e postfasciste, i Veneziani, i Tarchi, non hanno né credito né credibilità per scrivere bestseller antiresistenziali, un Pansa, spacciandosi come uomo di sinistra, ha il fisico del ruolo.
E Pansa si presta volentieri; oramai di mestiere fa la velina della vulgata antiresistenziale. Come le veline mostrano tette e curve così Pansa mostra il partigiano cattivo e il fascista che "c'aveva diritto di essere fascista" come l'italiano del 2006 ha diritto di essere xenofobo. Il Pansa antiresistenziale perché oggi la resistenza non va più di moda, rappresenta il peggior trasformismo di questo paese. Pansa, come pure le veline, mostrano ai loro rispettivi pubblici quello che vogliono vedere: tette, curve, partigiani cattivi e fascisti innocui. Non importa che veline e fascisti - ognuno nel suo specifico - siano il peggio di questo paese: hanno mercato.


**Giorgio Pansa, Sperling & Kupfer, 18 euro

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Silvia    - 08-10-2006
Come diceva un comico delle mie parti, che attualmente non se la passa molto bene, "Te la mi mamma tu la lasci stare!". Mi sembra che la frase riassuma tutto il contenuto di quest'articolo , anzi forse bisognerebbe aggiungere "O Pansa, te la mi mamma (la Resistenza) tu la lasci stare!", naturalmente a prescindere, come si dice. A prescindere dai fatti, narrati con nome, cognome, data, raccontati da Pansa che - per inciso - prima di iniziare a fare il giornalistra si è laureato in storia con una tesi sulla Resistenza. Nell'articolo di Carotenuto, la verità rivelata e il dogma di fede diventa allora proprio l'infallibilità della Resistenza e la colpa di Pansa è quella di aver documentato fatti accaduti che contrastano con un'immagine della storia della Liberazione che è più un santino agiografico che una fotografia. Spero che in un prossimo articolo Carotenuto invece di mettere a tema il diritto o meno di Pansa - in quanto giornalista, in quanto di sinistra e in quanto narratore di fatti - a parlare di Resistenza entri nel merito della storicità di quanto vi è narrato.

 guidoca    - 14-10-2006
Premetto di non aver ancora letto letto il libro di Pansa, ma di aver letto l'intervento carico di livore di Gennaro Carotenuto. Non riesco a capire la pretesa di vuole ad ogni costo imporre il suo punto punto di vista, la sua verità storica. Per formarsi un giudizio critico su un particolare periodo della nostra storia e senza sminuire l'apporto della Resistenza alla liberazione dal nazifascismo e alla costruzione dell'Italia repubblicana, occorre anche leggere e tener presente il giudizio di chi si esprime non sempre in termini apologetici. E' indubbio che la Resistenza abbia anche provocato guasti tra la popolazione civile ed è servita anche per saldare qualche conto in sospeso.
Del resto, non si è sempre negata la verità sulle foibe e sul fiancheggiamento dei partigiani della Garibaldi agli "invasori" di Tito?

 Giuseppe Aragno    - 19-10-2006
Ho conosciuto di persona Gennaro Carotenuto: è storico serio e di notevole spessore culturale. Non lo dico io. I suoi lavori stanno lì ad attestarlo. Si occupa di storia orale e di geopolitica, è studioso di politica internazionale, dei regimi dittatoriali e di storia contemporanea dell'America Latina. Insegna all'università di Macerata ed è professore invitato presso l'università di Montevideo. Alla ricerca storiografica unisce un'intensa attività gioralistica come corrispondente per l'Europa e il Medio Oriente del settimanale uruguaiano "Brecha", è analista internazionale per la "Jornata" di Città del Messico e "Question" di Caracas. In Italia i suoi articoli compaiono soprattuto sulla prestigiosa "Latino America". Dal 1998 collabora ai programmi di Radio 3 Rai.
Pansa ha fatto per anni il giornalista e non sempre ha incantato. Oggi scrive libri di storia che, dati i tempi e il battage politico-pubblicitario che li sostengono, fanno cassetta, benché siano scientificamente del tutto inattendibili. Egli artatemente amplifica e ingigantisce a dismisura fenomeni rari, marginali, spesso dubbi e non provati, nel loro complesso comunque del tutto ininfluenti su di una vicenda storica alla cui comprensione egli non aggiunge praticamente nulla, oscurandone, anzi, consapevolmente il valore di grande lezione etica.
Nessuno storico serio nega, e mai ha negato, che la Resistenza "abbia anche provocato guasti tra la popolazione civile", o che qualche miserabile ne abbia "profittato per saldare qualche conto in sospeso". La guerra è anche questo. Pansa finge di ignorarlo, come finge di ignorare che un'amnistia, frettolosamente voluta da Togliatti, reinserì nel tessuto della società civile, all'alba della storia repubblicana, la stragrande maggioranza dei responsabili di un disastro, i boia repubblichini, i massacratori di donne e bambini, i torturatori e persecutori di ebrei, i gerarchi di Salò e i traditori arruolati nelle SS italiane. E chiudo qui l'elenco per carità di patria. Egli tace sui numerosissmi partigiani processati dopo la guerra e spesso ingiustamente condannati dai magistrati fascsti rimasti tutti ai propri posti. Tace sulla totalità di prefetti, questori, magistrati, generali, noti giornalisti, uomini dei servizi, docenti universitari, che dopo aver teorizzarono la superiorità della razza italiana e contribuito moralmente e materialmente alla realizzazione dell'Olocausto, ripresero tranquillamente il loro posto nella società italiana che avevano avvilito, degradato, disonorato agli occhi del mondo. Tace sulle atroci responsabilità, ancora oggi impunite, di quei fascisti che, lasciati liberi, hanno poi paralizzato e insanguinato la nostra storia con atroci attentati ed oscure manovre golpiste. Di tutto questo nei libri di Pansa non si parla: il sangue che i vinti amnistiati hanno fatto versare ad una enorme quantità di cittadini italiani Pansa lo ignora. Eppure è quello il sangue che ancora grida vendetta, quello il vero danno arrecato al nostro paese e alla nostra gente, non la pietosa, vicenda delle Foibe, decontestualizzata e ingigantita ad arte, né la complessità dei rapporti tra partigiani italiani e jugoslavi, i quali, sia detto per inciso, furono nella stragrande maggioranza valorosi combattenti per la libertà del loro paese e dell'Europa dal mostro nazifascista. E tanto dovrebbe bastare. Tanto, se non altro, invitare a documentarsi ed a distinguere, tra propaganda politica, volgari operazioni di mercato e ricostruzione di tragici e cruciali avvenimenti della nostra storia.


 Piergiorgio M    - 21-08-2007
((vorrei inviare quanto segue, eventualmente mi si invii la e-m opportuna per farlo pervenire a Pansa))

La sua trasmissione su Radio 24, egr. sig. Pansa, mi ha illuminato e rievocato vividamente il seg. fatto personale.

Lo racconto ora, sentito che interessano le testimonianze, come io sia un mancato ‘martire della libertà’.

Sono del '38 e ricordo bene tutto quello visto dai 2 anni in poi, incluse le inconfessate ed appena accennate delusioni degli adulti.

Mio padre era in quella guerra (per spezzare le reni alla Grecia) da cui ne è uscito con ferite e nevrosi che lo condussero a morte circa 10 anni dopo.

E veniamo all’episodio.

Noi abitavamo allora vicino a Piove di Sacco lungo una strada di terra battuta avente ogni 300 metri un ponte modesto, le altre case erano più umili della nostra ed erano rade. Un mio parente molto coraggioso, forte e leale aveva combattuto nella 1° GM , ne era rimasto ferito e decorato (n: 99 m: 83), e per questo potè passare la 2° guerra facendo l’infermiere in ospedale da cui tornava con la scassata bicicletta verso le 15, scansando mitragliamenti fino alla sua abitazione 100 m prima della nostra.

Mi fermavo ore a guardare (43-45) il fabbro (a me pareva magico) che costruiva le scalette in ferro , sotto il controllo dei pochi, pallidi, magri, giovani e disperati tedeschi; per entrare ed uscire dalle trincee in allestimento come disperata difesa e con il lavoro dei nostri uomini pagati con le grosse banconote appena stampate e poi risultate prive di valore.

Un giorno si presentò a metà mattina un paio di ragazzi 16 enni in pantaloni corti, imberbi, con due bombe a mano appese alla cintola (parevano bussolotti con il manico in legno). Pretesero da mio nonno 1 bicicletta per andare a salvare la patria, si dissero partigiani. Mio nonno dovette darla borbottando che non credeva si salvasse la patria così.

Dopo qualche giorno 5-6 di questi salvatori si misero di lena a interrompere il ponte vicinissimo a casa nostra, fecero una interruzione di circa 3 metri e se ne andarono. Si seppe poco dopo che una modesta colonna tedesca in ritirata era su quella strada, ferma 3 km indietro per un analogo caso e incendiava le case attorno e faceva morti. Arriva il parente, pratico di guerra, va fuori di sé per l’ira, si fa dire chi erano -son quelli in fondo alla via…- va a casa loro, li prende per il collo urlando, li obbliga a togliere le travi dal loro tetto, a tirarle con il somaro, rifare il ponte, coprirlo di terra. Tutto in meno di 1 ora. Io ero lì con mia madre che mi teneva in braccio e altri curiosi e stupidi come il fango, diamine era uno spettacolo da non perdere...!!.

Dopo 40 minuti arriva la colonna: 2 autoblindo, due camion, una automobile, dei carretti, una 50a di soldati … Vedono la terra fresca, si fermano esce un soldato assieme a un graduato con lo smeisser in mano, guardano attorno….Poi il graduato ispeziona il ponte e poi fa passare piano piano una autoblinda…tutto regge, poi passano tutti, senza altre conseguenze…(ho imparato poi : al nemico che fugge ponti d’oro).

Si seppe più tardi delle rappresaglie in altri luoghi, e giuste se consideriamo quello che abbiamo fatto all'estero noi italiani anche per meno, che eravamo alleati dei tedeschi e che poi abbiamo cambiato parere…

Quel mio parente una settimana dopo pedalava quando un colpo di fucile gli passa sopra la testa, guarda e intravede dietro un albero una figura…Va a casa di uno di quelli, che non aveva digerito l’umiliazione, per torcergli il collo (non è un modo di dire), ma non lo trova. Scomparso anche in seguito.----

Dopo anni, molti, mentre quel mio parente stava vincendo una gara regionale di bocce , vede di là del boccino , in mezzo alla folla, la faccia,…. una faccia che gli ricorda qualcosa nella sua indefettibile memoria , ….ah ecco, sì! , suda per il furore…molla tutto per completare quella che lui chiamava – tirare il collo al pollo- ma quello intanto è sparito.

Si seppe dopo un poco di tempo che quello era andato definitivamente a Sidney , posto più lontano non c’era..

Se non fosse andata così avrei la soddisfazione di trovarmi scritto sulla lapide e onorato dall’ANPI

Marchiori Piergiorgio

mestre corso del popolo 146/a

 Redazione    - 22-08-2007
Non conosciamo l'indirizzo elettronico da lei richiesto.
Per far pervenire all'interessato il suo contributo, che pubblichiamo pur se legato alla trasmissione da lei citata più che all'argomento dell'articolo da noi riportato, le consigliamo di rivolgersi direttamente al sito di Radio 24.