gp - 01-03-2005 |
(...)"occorre una grandissima vigilanza democratica" ... come le, inquietanti, cronache delle ultime ore fanno presagire. |
Annamaria - 01-03-2005 |
Condivido pienamente; sento come necessaria la vigilanza democratica in tutti gli aspetti delle nostre pratiche quotidiane! |
Redazione - 02-03-2005 |
A proposito degli I.M.I. riportiamo la testimonianza di Gaetano Gardini, tratta dal periodico della Federazione bolognese della A.N.E.I., n. 4-5 (1997). Il dott. Gaetano Gardini ha combattuto come Ufficiale nella II guerra mondiale. Dopo l’8 settembre ‘43 è stato catturato dai tedeschi e avviato nei campi d’internamento. Dopo il rientro in Italia, ha svolto la professione di giornalista presso «Il Resto del Carlino». E' stato presidente della Federazione di Bologna della A.N.E.I. (Ass. Naz. Ex Internati). Ringraziamo l'Istituto Paritario Leopardi di Bologna, che nelle sue pagine approfondisce il tema delle deportazioni e degli internamenti di militari italiani nei lager del Terzo Reich e ci offre la segnalazione Il paradosso del lager simbolo della libertà Essere internati in un lager per avere detto «no» al nazifascismo rappresentò la scelta della libertà: quante volte mi sono chiesto se non era paradossale agire in una maniera che sembrava contraria al buonsenso. I nostri cari in patria sollecitavano – chi più chi meno – una decisione che pareva più coerente con un passato nazionalista, espressione dell’educazione ricevuta, senza capire che il 25 luglio 1943 era avvenuta una rottura irreversibile. Non si trattava di rinnegare tutto il passato, anche perché nel mensile del G. U .F. (Gruppi Universitari Fascisti) «ARCHITRAVE» di Bologna (come d’altra parte in periodici di altre importanti città italiane) erano usciti articoli di aperta critica al regime, che avevano portato pure al sequestro della pubblicazione. Io ero stato vicedirettore in due dei quattro periodi con il cambio della direzione: un periodo relativamente conformista ed un altro con vari scritti “ribelli”. Fra gli illustri collaboratori vi erano stati anche i cari amici Enzo Biagi e Giuliano Gramigna («Corriere della Sera»). Fra i più prestigiosi degli internati vi era Giovanni Guareschi. La crudeltà, anzi si potrebbe dire, la criminalità dei nazisti si manifestò in varie forme. Sui campi di sterminio si è scritto molto: essi erano stati volutamente concepiti e realizzati per eliminare determinate categorie: ebrei, zingari e politici. Ma i campi di internamento avevano caratteristiche tali da procurare inesorabilmente sofferenze e fastidi agli ospiti.Ribadiamo ciò che abbiamo già espresso in altre occasioni: le guerre non si dovrebbero mai fare, ma se purtroppo si arriva ai combattimenti, i contendenti devono essere in grado di assicurare condizioni buone, ma per lo meno decenti alle persone implicate. Il che fecero gli americani, gli inglesi (pur distinguendo tra collaborazionisti e contrari alla cooperazione) e non sempre ma molto sovente anche i francesi. I tedeschi invece si comportarono quasi in ogni caso con il disprezzo assoluto della persona umana: baracche senza riscaldamento d’inverno, per cui l’acqua si gelava nelle gavette, con scarsissimi servizi igienici. L’esistenza di pulci, cimici e pidocchi (con il pericolo del tifo esantematico) provocò non solo disagi e disturbi, ma anche bolle o rigonfiamenti e piaghe. La scarsità di cibo era tale che costringeva a rimanere quasi tutto il giorno sdraiati sui letti a castello a due, e in taluni casi, a tre piani, tormentati dagli animaletti, di cui si è riferito sopra. In fondo alle baracche con 50 o 60 derelitti vi era un solo gabinetto a piedi che serviva solamente per le piccole necessità. Per i bisogni più consistenti occorreva uscire all’esterno e recarsi in un’apposita baracca, ove vi erano lunghi travetti sui quali ci si appollaiava l’uno accanto all’altro senza divisioni. In tale maniera non vi era privacy. In certi casi capitava che qualcuno – per l’eccessiva vicinanza con un altro – non riuscisse ad espellere le feci. Non parliamo poi quando veniva la diarrea: era un’autentica tragedia. Anche al cristiano, che non dovrebbe odiare, esplodeva una forma acuta di antipatia, che rendeva assai difficile conservare la calma. A volte uscivano dalla bocca parole aspre, mai bestemmie assolutamente inconcepibili. Occorre comprendere un determinato stato d’animo, come quello degli I.M.I. (Internati Militari Italiani), che costringevano loro stessi a mantenere la pacatezza o, quanto meno, a non alterare il sistema nervoso. Passavano nel cielo gli aerei inglesi e americani che volavano per bombardare le maggiori città tedesche e gli internati dovevano trovarsi dentro le baracche; se qualcuno si era attardato fuori per motivi vari veniva preso di mira dalle sentinelle che erano sulle torrette e quando andava bene venivano feriti ma sovente erano uccisi. Ricordo ancora un I.M.I. che fu colpito da un militare tedesco durante un'incursione e lasciato per terra ferito gravemente, impedendo di soccorrerlo, tanto che morì dissanguato. Crudeltà inaudita!Essere coerenti con se stessi, per un certo numero non elevato, significò rimanere nazifascisti, ma non era così: anche la democrazia più imperfetta è sempre meglio della dittatura. Il nazismo è paragonabile ad una piovra, che con i suoi enormi tentacoli è capace di trascinare sul fondo anche grosse imbarcazioni. Siamo sicuri di aver agito bene decidendo di restare in un lager, anziché rimanere legati prima al fascismo e poi aderire alla Repubblica sociale. Eppure si è visto chiaramente la disastrosa conseguenza di un’ideologia la quale sosteneva la non eguaglianza fra i popoli con le gravi conseguenze implicite in una tale asserzione: lo sterminio di milioni di essere umani in nome della superiorità di una razza. Il pensiero di Anna Frank, autrice del famoso diario, catturata perché ebrea e morta di tifo nel lager di Bergen-Belsen, rimane sempre nel mio cuore. Essere sinceri democratici ha un concreto significato di liberazione, contrariamente a quanto bugiardamente asserivano i nazisti che, pur dimostrando con il loro comportamento di negare ogni libertà, ebbero la spudoratezza di esporre all’ingresso degli «straflager» la bugiarda scritta «ARBEIT MACHT FREI». Dott. Gaetano Gardini |