Vado al massimo, vado all'estero
Francesco di Lorenzo - 14-03-2015

Poiché la buona scuola per ora è solo un disegno fatto con la matita e quindi cancellabile, e poiché troppe volte negli ultimi anni le riforme della scuola (tra epocali e non), dopo gli iniziali annunci enfatici hanno lasciato durante il loro percorso solo macerie, un po' di cautela ad entrare nei particolari non sarebbe da scartare.
Naturalmente non si possono tacere, se non le contraddizioni, almeno le confusioni. Un esempio? Tra gli studenti che tra l'altro manifestavano in piazza nella stessa giornata dell'approvazione della Buona scuola, un sondaggio di Skuola.net rivela che il 57% di loro non conosce il provvedimento. Non solo, tra quelli che lo conoscono, solo l'1% pensa che possa cambiare o incidere sul futuro della scuola italiana. E se è vero che secondo i giornali solo in 50mila ( e quindi pochi) in tutta Italia hanno manifestato contro il governo e la riforma, è anche vero che tutta l'enfasi sulla condivisione e la partecipazione nelle scelte, come è dimostrato, non esiste, è una mistificazione bella e buona. I rinvii, gli aggiustamenti e ritardi ne sono la prova lampante.
Dobbiamo allora chiederci se in tutto questo manca qualcosa. Manca forse una coscienza di opposizione che vada oltre i soliti slogan, peraltro scanditi a bassa voce? Chissà? La ricerca di un linguaggio ( e di una sostanza) di opposizione meno ancorato al passato, potrebbe essere una possibile soluzione, oltre che un impegno. Si aprano le iscrizioni.

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Nel mondo, le Università italiane hanno uno scarso peso. Poco valore. Tra le prime cento nessuna porta i colori della nostra bandiera. Come consolazione, nella ricerca pubblicata dal 'Times', in una seconda graduatoria ristretta e relativa alle competenze di ingegneria e tecnologia, all'86esimo posto troviamo il Politecnico di Milano. Un po' poco, non c'è che dire. Una magra soddisfazione, che non genera però né dibattito, né altro.
Come è evidente, qualcosa non funziona, non solo negli atenei italiani, ma anche in ciò che avviene prima e cioè nella scuola secondaria, come minimo. Risulta quindi chiaro che si sono persi anni cruciali tra le parti in lotta, tra prese di posizione e chiusure corporative, con il risultato che ci ritroviamo oggi a non aver peso e a non contare niente.
Una ventina di anni fa il primo governo Prodi separò il Miur in ministero dell'Istruzione e ministero dell'Università e della Ricerca. Ovviamente lo scopo era di non confondere i piani e di operare bene e meglio. A parte la facile battuta sul fatto che per un certo periodo fu lo stesso ministro Luigi Berlinguer ad avere la titolarità di tutti e due i ministeri, per cui si pensava/si diceva che per non confondersi, di mattina andasse all'istruzione e di pomeriggio, dopo pranzo, si recasse al ministero dell'Università. L'esperimento probabilmente avrebbe potuto anche funzionare, forse lo stesso accendere i fari sul problema avrebbe potuto aiutare a risolverli, i problemi, sta di fatto che quando arrivò il governo Berlusconi nel 2001, tutto finì. L'esperimento si spense. Fu riacceso per qualche mese, ma dopo definitivamente sotterrato. Colpa dei tagli e della crisi, come sempre.
Ma, al di là del ministero sparito, c'è qualcosa di più strutturale che manca nella scuola e nella ricerca italiana. Manca la consapevolezza e la volontà di investire in tali settori. E chi dovrebbe farlo? Un esercito di parlamentari nominati? Che pensa in primo luogo al peso delle proprie tasche, come è stato ampiamente dimostrato? Certo qualcuno li avrà pure nominati, e sarebbe ora il momento di prendersi le proprie responsabilità. Mentre i nostri giovani, se vogliono un'istruzione di qualità, andranno per altri anni a frequentare le Università straniere.

Tags: Riforma, Moratti, Protesta, Prodi, Berlinguer, Universit straniere


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