La fase attuale e le difficolta' del corporativismo
Antonio Limonciello - 22-06-2002
Nel biennio 2000-01, una volta acquisito l'ingresso in Europa, la societa' italiana, e in primo luogo chi controlla l'economia, si e' posta il problema
di come il nostro paese potesse competere dentro la nuova realta' economica.
Si sono scontrati 2 blocchi, quello che mirava ad affermarsi per l'alto contenuto di qualita' e di nuova tecnologia (quindi importanti investimenti
sulla cultura e sull'educazione permanente dei suoi addetti, nonche' sulla loro appartenenza e coinvolgimento nei risultati dell'azienda) e quello a
basso investimento, accumulazione forte, apri, chiudi e delocalizzi con facilita'e rapidita', il capitalismo delle piccole aggressive imprese un po' lavoro nero, un po' evasore, un po' non in regola sull'ambiente, un'impresa organizzata per concorrere con il terzo mondo (un capitalismo che non ha fiducia in se stesso, che non si giudica gran che).
Vinse questo secondo blocco, vinse prima in Confindustria con l'elezione di D'Amato, poi in tutto il paese con le elezioni del 13 maggio 2001.
Come realizzare questo modello di competitivita' della societa' italiana oggi e' evidente a tutti:
- smantellamento delle protezioni offerte dallo stato sociale (troppo costoso, i risparmi si trasformeranno in investimenti, quindi in acceleratori dello sviluppo);
- riduzione dei diritti della persona sul luogo di lavoro e maggiori liberta' per il datore di lavoro (il lavoratore deve sapere che in qualsiasi momento e senza alcuna ragione puo' essere messo alla porta)
- riduzione del ruolo, se non eliminazione, delle organizzazioni dei lavoratori, leggi sindacati. Al loro posto organizzazioni di categoria o localistiche non in grado di svolgere un ruolo sulla macroeconomia.
- eliminazione della concertazione del quadro economico, eliminazione di alcuni livelli contrattuali se non l'eliminazione dei contratti di lavoro.
Si inizio' con le 4 deleghe: sulla riforma del mercato del lavoro, leggi eliminazione del l'art.18, ovvero liberta' di licenziamento senza dover avere una giusta causa per farlo; sulla riforma della scuola,
leggi smantellamento della riforma Berlinguer perche' richiede investimenti quando si tratta di tagliare le spese per l'istruzione; sul fisco, leggi taglio delle entrate fiscali a vantaggio dei redditi alti, quindi i
ricchi piu' ricchi, i poveri piu' poveri, pero' in cambio questi ultimi avrebbero la speranza che l'accumulazione di maggiore ricchezza dei primi
potrebbe anche tradursi in investimenti e quindi in posti di lavoro; sulla previdenza la decontribuzione distruggera' l'intero sistema, e' probabile che entro 5 anni non ci saranno piu' i fondi per pagare le pensioni a chi ne stara' usufruendo.
Con quale strategia?
Dividendo i sindacati, quindi indebolendo la forza contrattuale dei lavoratori, esercitando maggiore controllo su tutta la societa' attraverso l'informazione e attraverso l'uso degli apparati repressivi dello stato.
Ottima opportunita' per realizzare il disegno, gia' da anni delineato non certo solo per l'Italia dalle centrali dei poteri mondiali, si e' rivelato essere il terrorismo e la sua accelerazione dell'11 settembre.
Tutti dobbiamo aver paura del terrorrismo- e degli immigrati che mirano alla nostra ricchezza e percio' allevano terroristi- intanto che loro organizzano il nuovo potere globalizzato!
Infatti questa strategia rischia di conquistare tutti i paesi europei.
Dopo l'Irlanda e la Spagna, che pero' partivano da condizioni molto arretrate, dopo il Regno Unito, che aveva gia da tempo subito la demolizione dello stato
sociale, dopo l''Italia e' arrivata la Francia, in autunno sara' la volta della Germania? E' vero che la Francia e la Germania non hanno le fragilita' italiane ma e'
pur vero che quando piu' di un paese conquista una buona competitivita' gli altri non possono stare a lungo fermi. Il pericolo in Europa e' di avere nel
giro di un anno un'omogeneità politico economica tutta sparata sulla riduzione dei diritti dei cittadini, e in primo luogo del cittadino lavoratore dipendente.
Davanti a un progetto così vasto e profondo di riorganizzazione dei poteri nel mondo non e' possibile rispondere con parzialita' come piattaforme
e organizzazioni di lotte di singole categorie e/o con sviluppi localistici, leggi in una sola nazione.
E necessario invece costruire alleanze sociali, intanto tra tutti i lavoratori, poi con altri strati della societa', compreso quel capitalismo che sia disposto a scommettere sulla globalizzazione competitiva
verso l'alto anziche' verso il terzo mondo, che accetti di misurarsi
col
progresso sociale, ovvero che sia disposto a sperimentare un tipo di lavoro che ammette l'arricchimento dei diritti del lavoratore anziche' la riduzione, che non alieni ma responsabilizzi i
soggetti dei processi produttivi, che si ponga l'obiettivo di migliorare l'ambiente e le condizioni del lavoro, che dia dignita' al lavoratore in quanto persona. Il primo livello di democrazia si misura sui poteri che hai
sul postodi lavoro.

So che ci sono molte persone, soprattutto di sinistra, che ritengono non ci sia alcuna differenza tra i capitalisti, "i padroni sono padroni" e gli interessi "dei padroni" sono tanto piu' realizzati quanto piu' i loro
dipendenti sono sfruttati. Non e' sempre cosi e queste
analisi, oltre ad essere superficiali, spesso sono di comodo, in piu' queste persone devono trarre lezione
dalla storia, devono tenere conto che i fascismi si affermarono in un momento di profonda ristrutturazione capitalistica laddove le forze
democratiche e progressiste non furono capaci di capire in tempo l'entita' dei processi, non si resero conto del pericolo e da dove esso provenisse, ma
soprattutto i fascismi si affermarono perche' esse non
furono capaci di mettersi insieme e di essere alternativa credibile.
Basta ricordare gli anni 20 e 30 in paesi come Italia, Germania, Spagna, e come li' agirono le forze democratiche e di sinistra.
Quindi la partita e' "tra chi divide chi", infatti la destra oggi divide il fronte progressista, divide i sindacati e vince. Cosi' vincera' anche
un'eventuale referendum sull'art.18, e' bene metterlo in conto. Se coloro che tengono a cuore i diritti
dei piu' deboli vogliono contrastare efficacemente questo processo devono intanto non dividersi, ma non basta, devono anche essere capaci di portare
nel proprio campo una parte di chi oggi e' schierato nell'altro.
E questo si fa anche tenendo conto delle ragioni degli altri che ti possono essere amici. Non esistono altre strade democratiche.

So pure che questa fase mette in grande difficolta' le posizioni corporative, esse infatti sono completamente spiazzate dalla loro ragione
fondante e dal loro bagaglio teorico privo com'e' degli strumenti necessari ad aggredire i fenomeni quando questi investono tutta la societa' e tutto il globo.
Non si riesce piu' a tenere l'attenzione sulla professione docente se il governo smantella la base del contratto sociale che finora ha caratterizzato la democrazia italiana.
Non e' che non sia piu' importante il codice deontologico, e' che cambiano le priorita'.
Come posso stare su questo obiettivo se intanto si sta eliminando la centralita' della scuola pubblica in Italia attraverso un processo di
riduzione del suo valore?
Pensate che l'attuale scontro tra la Confindustria e il governo da una parte e la CGIL dall'altra sia un problema "operaio", o di "lavoro privato"?
Come si puo' non capire che tra le 24 ore di insegnamento, i 36.000 insegnanti
in meno, la scuola di sole 25 ore a settimana
per gli studenti, l'articolo 18, le deleghe su scuola, fisco e previdenza c'e' continuita'?
Come si puo' non capire che non si difende piu' nulla se non si costruisce un fronte unico che abbia la forza di fermare la distruzione dei diritti del lavoro dipendente?
Si puo' davvero chiudere un occhio sull'imbarbarimento di tutta una societa'
solo perche' il potere forse ha promesso vantaggi per la categoria che si rappresenta?
Ed e' credibile un'operazione del genere?
E poi, le parzialita' possono svolgere un ruolo quando ci sono le condizioni di rispetto dei diritti gia' acquisiti e una disponibilita' ad allargarli, quando l'attacco e' di questa entita' con le parzialita' si va alla sconfitta.
Se si licenza senza giusta causa nel privato, ci vuole solo del tempo, poi sara' lo stesso per noi. E se sai che puoi essere licenziato per puro potere
esercitato da un tuo superiore/datore di lavoro i rapporti di forza cambiano completamente.
Ancora, se il sistema produttivo sceglie lavoro a bassa qualita', prodotti a basso contenuto innovativo, ci sara' meno bisogno di scuola, meno
bisogno di noi, quindi avremo meno potere contrattuale, conteremo di meno, ed e'
davvero difficile che ci compenseranno con un salto di qualita' della professione docente.
I fatti saranno questi, le altre sono chiacchiere, pura e semplice propaganda, e chi l'asseconda, piu' o meno consapevolmente, se ne prende le responsabilita' davanti alla storia.




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 sandra    - 24-06-2002
Ho copiato l'articolo di Antonio nel forum CGIL SCUOLA, ma vi ho poi scritto questa specie di commento, che anche se è riferito specificatamente al ruolo e all'azione del sindacato, esprime qualche dubbio e qualche osservazione:

: ...Mi pare che il punto di vista di Limonciello non sia poi così diffuso, e neppure scontato.
Certo, c''è malcontento, anche magari da parte di alcuni di coloro che speravano in questo governo, c''è preoccupazione, ma vorrei chiedermi, come proponevo nell''altro post, cosa questo significhi per noi.
I punti di maggiore attacco di questo governo sono due:
Alle condizioni economiche, con il fisco, l''attacco al potere d''acquisto dei salari, ecc...
Ai diritti, in primo luogo il lavoro e poi la possibilità per i lavoratori di contare, di decidere, come dice Limonciello, a partire dal posto di lavoro e nella società.

Sulla prima parte, i lavoratori della scuola (non parlo, ovviamente, dei precari) sono tuttora dei *garantiti*.
Il livello intollerabilmente basso degli stipendi degli insegnanti rapportato alla loro funzione non cancella però il fatto che - specie in alcune regioni d''Italia - si tratta di stipendi che ancora garantiscono un livello di vita *decente*, ben lontano dalle fasce più deboli della popolazione.
E neppure possiamo ritenere cancellata l''idea dello scambio bassi salari-condizioni favorevoli (per il secondo lavoro o per la cura familiare).

Sulla seconda parte, un gran numero di insegnanti si aggrappano ancora all''idea che la specificità della loro funzione, che si esplica principalmente in classe, con i bambini e i ragazzi, permetta ancora - a dispetto di tutto - un margine di autonomia, e quindi di *resistere* dall''interno, anche in modo individuale.

Ed è ben noto che l''idea invece di un potere che si esercita attraverso gli strumenti sindacali non si è ancora pienamente affermata (pensiamo alle difficoltà della contrattazione di scuola).

Gli ATA sono messi un po'' peggio, ma la crisi di ruolo della categoria non riesce ancora abbastanza ad andare oltre la rabbia, la frustrazione e il senso di schiacciamento rispetto agli insegnanti.

Malgrado tutto questo la protesta c''è, e c''è la voglia di esprimerla; l''abbiamo vista nelle iniziative nate sui tagli agli organici così come sulla delega Moratti.

Ma come fare allora ad *esserci* veramente, adesso, ad essere parte attiva e visibile nello scontro in atto?
Come togliere di mezzo l''idea che si possa puntare a puri e semplici *aggiustamenti* (stile vecchio sistema di potere democristiano, per intenderci) che semplicemente ricollochino la categoria in modo più favorevoli?

E come togliere di mezzo l''altra idea, non meno pericolosa che ho sentito aleggiare - purtroppo - anche nella consultazione recente, che di fronte ad un attacco così virulento non ci sia niente da fare, altro che forse accontentarsi di sopravvivere, visto che potrebbe andar peggio?

Limonciello conclude un ragionamento che solo in parte condivido:
L''esempio è che il codice deontologico per gli insegnanti è ancora importante, ma ora altre sono le priorità.
Mi starebbe anche bene, se si trattasse solo di questo, ma temo che in secondo piano rischino di passare - insieme al codice deontologico, tema che non mi commuove più di tanto - molte e ben più importanti cose.
In buona sostanza, non credo che si tratti di porre un *prima* e un *dopo*, ma se mai di cogliere i nessi, e i cambi di prospettiva (e quindi anche di poltica, in parte) che la situazione richiede.


L''insegnante che non vede alcuna prospettiva di sviluppo professionale sarà lo stesso che potrà accettare (perchè non dovrebbe?) le sei ore aggiuntive per arrotondare.
L''insegnante che rinuncia a difendere e anzi a valorizzare la propria figura professionale rispetto all''opinione pubblica si riadagerà nello scambio scellerato di cui parlavo sopra.
L''insegnante che si lascia rinchiudere, se non in una logica di insegnamento solo frontale, in soluzioni solo individuali, e che quindi non vede nella scuola dell''autonomia uno strumento per la qualità del proprio lavoro, è un''insegnante che potrebbe accettare (perchè no?) la cancellazione del fondo di scuola o la sua riduzione a un aspetto residuale (e la cancellazione delle RSU) in cambio di più rassicuranti aumenti gestiti centralmente.
L''Ata che non riesce a ridefinire una propria originale professionalità continuerà nella logica suicida di porsi come obiettivo la separazione dai docenti, e non avrà comunque armi per difendersi dall''esternalizzazione.

Sto parlando, complessivamente, di una figura di lavoratore che non vede o non vedrà nel sindacato un proprio strumento credibile di organizzazione, e che quindi non potrà cogliere neppure la gravità di molte delle cose che avvengono ad altri livelli, fra governo e sindacati o fra gli stessi sindacati.
E sto parlando di un lavoratore per cui l''idea di salari europei o comunque di risorse consistenti per i nostri stipendi rimarrà un mito lontano, e che quindi non riuscirà a cogliere la modificazione (perchè di questo si tratta) della poltica salariale del sindacato, che non nasce da ragioni strumentali, ma dall''attacco violento del governo alle condizioni di vita dei lavoratori, che quindi devono difendersi, e soprattutto dalla volontà del governo di escludere il sindacato dalle scelte di politica economica del paese, riducendolo a proprio vassallo.


Quale la conclusione del ragionamento?
Sono d''accordo con Limonciello che occorre stabilire alleanze, e che occorre uscire dal corporativo, e credo anche che il nostro sindacato, in questo senso, debba farci sentire maggiormente parte di qualcosa che va oltre l''orizzonte stesso del nostro lavoro.

Ma attenzione: se dobbiamo difendere la scuola pubblica e difendere la democrazia, credo sia giusto farlo non in termini di solidarietà (che pure sarebbe giusto, perchè i primi lavoratori precarizzati sono i nostri figli) ma proprio a partire da noi.
Solo così troveremo la forza necessaria, non saremo pochi, sia pure motivati ed arrabbiati.

E a scanso di equivoci, visto che siamo nel forum sul contratto, credo che la nostra piattaforma contrattuale possa essere per questo un''utile occasione.
E che i temi che ne sono al centro possano benissimo caratterizzarci anche nella partecipazione, di cui spero non ci dimenticheremo, alle iniziative di lotta di queste settimane (scioperi regionali della CGIL), e nelle successive.

Dobbiamo -credo- avere la capacità di trovare nel nostro essere lavoratori della scuola le ragioni profonde di essere insieme a tutti gli altri lavoratori. E se i nostri obiettivi sono giusti, come credo, queste ragioni ci sono.