in: L'allievo di origine rom
4. La lingua dei rom: il romanes Il romanes ( o romané) è la lingua di origine indiana parlata dalla maggior parte dei rom dispersi nei vari paesi del mondo.
Popolo senza stato, i Rom non hanno mai usato la scrittura come mezzo di comunicazione e non hanno quindi avuto necessità di creare varietà linguistiche standardizzate, riconosciute come "ufficiali" dai diversi gruppi. Non esiste perciò una lingua che si possa definire il romanes, ma una miriade di varietà linguistiche, alla cui base sta una comune matrice indiana.
Alcuni esponenti dell'intellighenzia rom europea stanno cercando di elaborare una lingua standard che possa funzionare da lingua ufficiale per tutti, ma il processo è molto lungo e difficile.
Anche per quanto riguarda la grafia non si dispone di una convenzione unitaria, anche se il maggiore sviluppo degli studi linguistici sul romanes nei paesi dell'Europa dell'Est ha fatto sì che si sia diffusa una convenzione grafica basata sulle modalità utilizzate delle lingue slave.
Al momento è quindi impossibile offrire una descrizione del romané che possa essere rappresentativo di una comunità vasta, anche se molti elementi della base comune sono intelligibili a molti, nonostante le numerose varianti fonetiche e - in misura minore - morfosintattiche.
Gli elementi comuni riguardano:
· il lessico fondamentale della vita quotidiana: la denominazione degli elementi naturali (acqua, fuoco, sole...); le parti del corpo (occhio, bocca, testa, dente...); alcuni termini di parentela (padre, madre, sorella, fratello...); i verbi fondamentali (mangiare, andare, dormire ...);
· la morfologia nominale basata su otto casi (nella maggior parte dei dialetti);
· il sistema verbale basato su quattro tempi: presente, imperfetto, perfetto, trapassato
Su questa base si sono poi stratificati numerosi elementi delle lingue dei paesi in cui i Rom hanno vissuto più a lungo. I Sinti, ad esempio, che vivono in Italia dal 1400, parlano dialetti ricchi di elementi italiani, mentre i Rom dei Balcani parlano dialetti fortemente influenzati, a seconda delle zone, dal serbo, il croato, il macedone, l'albanese, il turco.
Alcuni esempi:
Parole originarie
Mano: vašt (rom abruzzesi), vast (sinti piemontesi), vah (rom xoraxané bosniaci). (cfr sanscrito hasta)
Acqua: paní (rom abruzzesi), panín (sinti piemontesi), paj (rom xoraxané bosniaci). (cfr. sanscrito pānīya)
Dire: pin- (rom abruzzesi), pen- (sinti piemontesi), phen- (rom xoraxané bosniaci). (cfr. sanscrito bhan- )
Parole non originarie:
sedia: bištrí (rom abruzzesi), śéza (sinti piemontesi), stolítsa (rom xoraxané bosniaci)
scrivere: skrevin- (rom abruzzesi), sibjar- (sinti piemontesi), pisí- (rom xoraxané bosniaci)
4.1. Lessico Come tutte le lingue orali, le varietà romanes presentano un vocabolario piuttosto ridotto. L'utilizzo solo orale della lingua non facilita la creazione di elaborate differenziazioni legate ai linguaggi settoriali, tipiche invece delle società alfabetizzate che hanno bisogno di catalogare, classificare, ordinare le proprie conoscenze. In particolare non si rileva un lessico specifico di tipo 'scientifico', con la conseguenza che, ad esempio, il lessico relativo ai diversi domini della natura risulta limitato: tutto ciò che vola è čiriklì, come tutti i fiori sono luluğì. La denominazione delle parti del corpo non corrisponde alle nostre. Una sola parola muj significa sia "bocca" che "viso", così come vah significa sia "mano" che "braccio", prnò "piede" e "gamba". Nella necessità di specificare, comunque, si ricorre alla lingua dei gagé che il gruppo conosce.
Il sistema lessicale romané, d'altra parte, si presenta in alcuni ambiti molto più ricco e articolato di quanto non lo siano le lingue dei gagé, effettuando minuziose distinzioni che corrispondono alla situazione socio-culturale dei rom e della loro organizzazione familiare.
Si denomina infatti l'uomo, la donna, il ragazzo, la ragazza rom con nomi distinti da quelli non-rom:
es. rom significa "uomo", ma solo se ci si riferisce a un rom, mentre per designare un uomo non rom si usa la parola gağó. La parola čhavó significa "ragazzo rom", mentre il ragazzo non-rom si chiama rakló.
Anche all'interno del sistema familiare i termini di parentela non corrispondono ai nostri, ma rispecchiano un sistema familiare diverso. Ad esempio quando una donna entra in una famiglia perché ne sposa un membro diventa una borì (lett. sposa) per tutti, parola che corrisponde quindi al nostro "cognata" e "nuora". La parola che la borì usa per denominare la sorella di suo marito varia da dialetto a dialetto, di solito è un prestito dalla lingua con cui si ha contatto. Ciò mette in evidenza la centralità della famiglia nella società rom, in cui la relazione rispetto al gruppo è più importante della relazione interpersonale.
.2. La morfologia nominale (gli esempi si riferiscono ad una varietà parlata da un gruppo di rom xoraxané della Bosnia)
Il sostantivo ha due generi, maschile e femminile, e due numeri, singolare e plurale. I sostantivi maschili terminano prevalentemente in -o oppure in consonante; quelli femminili in -i oppure in consonante.
L'articolo maschile è o, quello femminile è e (in alcune varietà i). Al plurale abbiamo le oppure e per entrambi i generi.
Es. maschile
o gagó l'uomo (non rom) e gagé gli uomini, la gente (non rom)
o phral il fratello e phralà i fratelli
femminile
e romnì la donna e romnjà le donne
e phen la sorella e phejà le sorelle
Il nome è' declinato secondo otto casi: nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale, ablativo, locativo e vocativo.
Il nominativo corrisponde in genere alla radice, l'accusativo corrisponde, per gli animati, al caso obliquo (per gli inanimati l'accusativo è uguale al nominativo).
Le desinenze che esprimono le relazioni di caso si aggiungono al caso obliquo, secondo il modello seguente:
Maschile singolare
Nominativo rom uomo (soggetto)
Accusativo romeh uomo (oggetto)
Genitivo romeh-ko dell'uomo
Dativo romeh-ke all'uomo
Strumentale rome-ha con l'uomo
Ablativo romeh-tar dall'uomo (provenienza)
Locativo romeh-te dall'uomo (a casa sua)
Vocativo roma uomo!
Le stesse desinenze (in alcuni casi con adeguate variazioni fonetiche) si aggiungono al femminile e al plurale. (es. romnjako "della donna").
Esistono comunque anche numerose preposizioni che esprimono relazioni di caso.
Es.
e čiriklí po kaš "l'uccello è sull'albero
čerel gavà pala pi familja " fa questo per la sua famiglia"
4.3. La morfologia verbale (gli esempi si riferiscono ad una varietà parlata da un gruppo di rom xoraxané della Bosnia)
Nella maggior parte delle varietà romanes non esiste l'infinito (laddove esiste si tratta di una formazione recente).
La forma base del verbo è quindi costituita dalla radice verbale, forma che compare anche nei pochi vocabolari esistenti:
Es. čhin- "tagliare", dikh- "vedere"
Il sistema verbale si basa su quattro tempi: il presente, l'imperfetto, il perfetto e il trapassato.
Il presente e l'imperfetto si formano sulla radice verbale. Aggiungendo alla radice verbale le desinenze delle varie persone si forma il presente:
1. dikh-av vedo
2. dikh-éh vedi
3. dikh-el vede
4. dikh-àh vediamo
5. dikh-en vedete
6. dikh-en vedono
L'imperfetto si forma aggiungendo la desinenza -a alle forme del presente:
es: dikhava vedevo, dikhela vedeva
Il perfetto e il trapassato si formano sulla radice del participio passato, il quale si forma con il suffisso -d o -l aggiunto alla radice verbale:
čhind- participio passato di čhin- "tagliare"
dikhl- participio passato di dikh- "vedere"
Aggiungendo le desinenze verbali del passato alla radice participiale si forma il perfetto:
1. dikhl -em ho visto/vidi
2. dikhl -an hai visto
3. dikhl -à ha visto
4. dikhl -am abbiamo visto
5. dikhl -en avete visto
6. dikhl -é hanno visto
Il perfetto esprime un'azione passata e corrisponde sia al nostro passato prossimo che al passato remoto.
Il trapassato si forma aggiungendo il suffisso -a alla radice del perfetto (ma il suo utilizzo è raro in tutte le varietà): dikhlema avevo visto
Esiste anche un futuro perifrastico formato da ka ( da kam- "volere") più il presente del verbo. Questa costruzione, (calcata sulla formazione del futuro in greco moderno) non si trova nei dialetti dell'Europa centrale e settentrionale
ka avav tehara tute "verrò domani da te"
Il predicato nominale viene espresso senza la copula:
o rom ternó l'uomo è giovane
essendo l'ordine delle parole sufficiente ad esprimere la funzione predicativa dell'aggettivo.
Quando l'aggettivo è attributivo, infatti, viene posto prima del nome:
o ternó rom l'uomo giovane
Non esiste in romanè un verbo che corrisponda al nostro "avere". Per esprimere possesso si ricorre ad una locuzione che significa "è a me", usando il verbo essere con l'accusativo.
hi ma televizia (lett. è me-(acc) televisione) "ho la televisione"
Non esistono tempi composti, per cui manca completamente l'uso degli ausiliari.
dikhlem le ando foro "visto lui in città"
Anche in romané esiste una distinzione che corrisponde all'utilizzo degli ausiliari essere e avere..
Alla terza persona singolare dei verbi che in italiano usano avere, si ha una desinenza invariabile -à:
voj xal-à lei (ha) mangiato
vov xal-à lui (ha)-mangiato
Nei verbi che in italiano prendono l'ausiliare essere, si ha un accordo con il soggetto:
voj gel-ì lei (è)-andata (-ì = marca del femminile singolare)
vov gel-ò lui (è)-andato (-ò = marca del maschile singolare)
4.4. La sintassi (gli esempi si riferiscono ad una varietà parlata da un gruppo di rom xoraxané della Bosnia)
L'ordine base della frase e Soggetto+Verbo+Oggetto:
o rom dikhel e romnjà "l'uomo vede la donna"
ma l'ordine delle parole non è rigido. Essendo infatti il romanes una lingua altamente flessiva, e la relazione fra gli elementi della frase resa chiara dai casi, si possono avere anche frasi del tipo:
e romnià pomoğì o čhaorò "la donna(ogg) aiuta il bambino(sogg) cioè: "il bambino aiuta la donna"
La ricca flessione verbale rende inutile anche l'espressione del pronome soggetto (come in italiano):
čerdà "ha fatto", dikhav "vedo"
E' abbastanza frequente la costruzione con il verbo finale:
brzò o marnò xalà “veloce il pane ha mangiato”
e dadeke o čhaorò vačardà “al padre il ragazzo ha detto”
L'avverbio si colloca spesso prima del verbo
lačé čerdà “bene ha fatto”
brzò ğelò “veloce è andato”
amende nikat avé “da noi mai vieni“
Una caratteristica del romané che porta a notevoli differenze rispetto alla nostra lingua è la mancanza dell'infinito. Nelle subordinate abbiamo perciò sempre un tempo finito:
a) mangav e čhaoré te aven "voglio i bambini vengono" (voglio che i bambini vengano)
b) vačardem leke te avel tehara "detto a-lui (te) viene domani" (gli ho detto di venire domani)
Dopo te il verbo, non solo è coniugato, ma è sempre al presente, indipendentemente dal tempo del verbo principale, il che ovviamente è ben lontano dal concetto latino di consecutio, dal quale viene anche la concordanza italiana.
Anche l'espressione delle modalità relative alla possibilità, l'impossibilità o la necessità usa strategie diverse dall'italiano. Per esprimere la possibilità, l'impossibilità o la necessità, si usano espressioni invariabili che si collocano prima del verbo, qualsiasi sia il tempo e la persona:
a) possibilità: saj gav "possibile vado" (posso andare)
b) impossibilità: nastì gan "impossibile vanno" (non possono andare)
c) necessità mora te gal "necessario va" (deve andare)
versione ipertestuale:
http://venus.unive.it/aliasve/index.php?name=EZCMS&page_id=332da scaricare:
http://venus.unive.it/aliasve/moduli/lingua_e_cultura/allievo_rom.pdf