il sangue e la storia 
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Giulio Dello Buono
 
IL PATTO DI SANGUE
Bierce, Crane e la Guerra Civile americana
 
1. Un filo rosso lega la Storia di Soldati (1) di Ambrose Bierce al Segno Rosso del Coraggio (2) di Stephen Crane, opere entrambe intrise del sangue delle vittime della Guerra Civile americana. L'opera del giovane Crane, pubblicata nel 1895 all'età di 24 anni, presto oscurava per fama quella del più anziano Bierce, vincendo così la sfida tra la 'guerra dell'immaginazione' e la 'guerra dell'esperienza'. Mentre Bierce, diciannovenne allo scoppio della guerra, si arruolava volontario nell'esercito dell'Unione, partecipando a tutte le battaglie più sanguinose (3), Crane della guerra "non [...] aveva alcuna esperienza" (4). Compensando questa mancanza di esperienza diretta con una vivida immaginazione supportata dalla lettura dei romanzi di Tolstoj, Crane scriveva un libro che per molti studiosi è rimasto "il libro più valido, più autentico di tutti quelli che hanno avuto per argomento quel conflitto(5)".
Ritornando al rapporto Bierce/Crane, si è sostenuto, non del tutto a torto, che "la raccolta di racconti [di Bierce] dedicati alla guerra di secessione [...] è surclassata dalla densità simbolica de Il Segno Rosso del Coraggio" (6). Paradossalmente, proprio il non aver partecipato al conflitto in prima persona permette a Crane una rappresentazione più vivida, un'azione mossa da passioni più 'vere' di quelle che agitano i protagonisti dei racconti del `cinico' Bierce.
Sia Bierce che Crane giungono, come vedremo, ad una valutazione della guerra molto simile (7), partendo però da premesse diverse. Nei racconti di Bierce, sulla scorta dell'esperienza vissuta, non vi è dialettica; il giudizio di condanna alla guerra è secco, posto a fondamento della scrittura. In Il Segno Rosso del Coraggio le vicende del protagonista rispecchiano le riflessioni dell'autore; il giudizio sulla guerra (e sull'eroismo) non precede la scrittura ma si trae quale conseguenza, come prodotto di un conflitto (coraggio-paura, etc.) interno all'opera stessa. Da ciò i maggiori apprezzamenti verso l'opera di Crane, che appare più sofferta, non fondata come l'altra su un pre-giudizio (nel senso di un giudizio che precede la scrittura) bensì squarciata da un conflitto `in fieri' nell'autore.
Se per resa narrativa la bilancia pende dalla parte di Crane, non si può non notare però una certa affinità tra i due autori quanto a contenuti e simbologia, portando alcuni ad ipotizzare una conoscenza dei racconti di Bierce da parte di Crane; Binni parla esplicitamente di Crane come di un autore pronto "ad ammettere il debito non indifferente nei confronti della narrativa di guerra bierciana"(8). Più che debito, però, ci sembra che i racconti di Bierce, uno in particolare, possono servire a gettare una luce nuova sul romanzo di Crane.
2. La storia de Il Segno Rosso del Coraggio è stata dai più interpretata come un processo di maturazione del protagonista, Henry Fleming: il suo passaggio dal sogno adolescenziale alla "desolazione del reale". A nostro parere questa interpretazione, di per sé corretta, va integrata da una lettura che conferisca pari dignità al tema della guerra, che con quello dell'iniziazione alla vita è fortemente intrecciato, ambedue proiettati sull'emblema rosso del sangue.
La Quest, il processo di iniziazione, si muove su due livelli: da una parte quello della vicenda narrata, con i suoi alti e bassi, le sue prove da superare; dall'altro quello del narratore impersonale, che dà alla vicenda e ai protagonisti la consistenza di ombre.
Per quanto riguarda il secondo livello, punto centrale ci sembra il rifiuto, da parte del narratore, di nominare i personaggi della storia; ciò è sì dovuto alla volontà dell'autore di dare alla storia il tono dell'universalità, definendo i personaggi per la loro età (il giovane), per una loro caratteristica fisica (il soldato alto), per una loro caratteristica temporanea (il soldato dalla voce allegra, quello dalla divisa a brandelli) o definitiva (il morto), dando così alla storia i caratteri di una Morality Play; ma è anche dovuto al fatto che il processo di maturazione è legato ad un processo di individuazione, a sua volta legato ai nomi.
All'inizio del romanzo il narratore descrive l'esercito che emerge dalle nebbie come un tutto, una sola enorme entità:
"II freddo si levò dalla terra con riluttanza e le nebbie, ritirandosi, svelarono un esercito spiegato sui colli, che riposava. Mentre il paesaggio mutava da bruno a verde, l'esercito si destò e cominciò a fremere di impazienza per il diffondersi di voci. I suoi occhi si volgevano alle strade... "[p.1]
Le movenze dell'esercito assomigliano a quelle di un enorme felino ("si destò... cominciò a fremere...") o ad un fantastico drago (come più volte è definito). Il protagonista si sente "una particella di una grande manifestazione in blu", "non un uomo ma un numero".
Da questo sfondo blu si staccano le prime ombre, e dalle ombre i protagonisti del dramma (il giovane, voce sonora) non ancora uomini perché non `provati', reclute; solo tra di loro i personaggi si chiamano per nome, mentre il lettore apprende il cognome del protagonista solo dopo due terzi del romanzo. Il processo di individuazione ha come ultimo termine quello di `uomo', e coincide con la percezione dell'inutilità della guerra.
Da notare, inoltre, che il nome del protagonista, usato con tanta parsimonia in tutto il romanzo, appare ben 11 volte nel breve discorso della madre al figlio in partenza per la guerra "sta attento Henry... non voglio Henry... addio Henry, etc.); ma soprattutto quel "so come sei fatto Henry" ci induce a credere che il processo con il quale Henry acquista la sua personalità di 'uomo' sia preceduto da un processo di spersonalizzazione che ha il culmine nel momento in cui il giovane entra nel `blu' dell'esercito: solo sua madre, col suo ossessivo nominato, sembra conoscere il protagonista, tanto da farci pensare che il processo di iniziazione e di maturazione sia in realtà ciclico, un ritorno alla sua esistenza `definita' precedente all'esperienza della guerra.
Il processo di individuazione che porta il protagonista da `particella' a `uomo' scorre parallelo all'altro livello, quello dell'iniziazione alla vita come una serie di prove da superare, la grande prova, il segno rosso da ottenere.
Henry si arruola sognando "grandi gesta d'armi", credendo di "essere un eroe"; la sua idea di guerra è quella antica, dove l'atto eroico dell'individuo era esemplare, capace di capovolgere le sorti della battaglia con la sola forza del braccio, "con una spada spezzata in pugno"[p.9], guardando il nemico negli occhi e affrontandolo secondo le norme codificate dalla cavalleria. I rimandi ad un passato eroico si ripetono nei primi capitoli: Henry sogna battaglie come quelle degli eroi greci, violente come gli Unni; si ritiene "eccitato in modo irresistibile", preso dal furore del guerriero. Subito, però, dopo la prima esperienza, si accorge che la realtà della guerra è diversa: fatta di sangue e sudore, attese snervanti e lunghe marce, cieca obbedienza ad ordini insensati:
"Dopo trasferimenti complicati, con molte soste, erano venuti mesi di vita monotona in un accampamento. Aveva creduto che la guerra fosse una serie di scontri mortali, con brevi intervalli per dormire e mangiare: invece, da quando il suo reggimento era entrato in linea, l'esercito poco aveva fatto se non starsene quieto e cercare di mantenersi caldo"[p.7].
L'età eroica è finita, perché l'eroe è morto; l'atto singolo di "uomini fidenti all'ombra del suo valore dagli occhi d'aquila" è fagocitato dal blu livellatore dell'esercito moderno (9):
"Battaglie come nell'antica Grecia non ce ne sarebbero state più. Gli uomini erano diventati migliori o più pavidi. L'educazione laica e religiosa aveva cancellato l'istinto di afferrare alla gola, oppure il benessere teneva a freno le passioni. Era arrivato a considerarsi semplicemente una particella di una grande manifestazione in blu"[p.7].
Ciononostante Henry parte alla ricerca della grande prova, la risoluzione "del suo problema"; e "per ottenere una risposta servivano fuoco sangue e pericolo" [p.12].
La grande domanda è: "Come fai a sapere che non scapperai, quando viene il momento?" La guerra per Henry diventa una questione personale, svincolata da ogni legame morale con le sue ragioni, anche perché "gli pareva che nessuno lottasse con un problema personale così tremendo" [p.19]. Dare una risposta alla sua domanda non equivale semplicemente a vincere una battaglia e sopravvivere; così si trova ad "invidiare un cadavere", pur di evitare l'onta del disonore. Da ciò si evince che la sua non è una lotta con il nemico, né retoricamente con `se stesso'. bensì con la morte, "la grande morte che, dopo tutto, era soltanto la grande morte" [p.133].
Nella prima battaglia il suo desiderio di autorealizzazione si scontra con la realtà della guerra, vede che la "grande morte" si incarna in tragedie troppo umane:
"A un certo punto la linea incontrò il corpo di un soldato morto. Giaceva supino, fissando il cielo. Portava goffamente una divisa di bruno giallastro. Il giovane notò che le scarpe avevano la sottigliezza della carta da lettere e che da un grande squarcio in una di esse sporgeva il piede morto. Era come se il destino avesse tradito quel soldato: nella morte si palesava ai nemici quella povertà che da vivo aveva forse nascosto agli amici"[p. 23].
La morte mette a nudo, svela; infatti la fila di soldati si scosta per evitare il cadavere, mentre Henry cerca di leggere "negli occhi dei morti la risposta alla Grande Domanda" [ivi].
Ma la grande guerra è misera anche esteticamente: invece del gesto eroico del guerriero ("Era singolare -commenta il narratore- l'assenza di pose eroiche") Henry osserva spettrali figure contorte "in maniera fantastica".
L'illusione della vittoria lo rende euforico: dopo la prima scaramuccia il sogno di gesta eroiche ritorna, crede di aver superato la prova: "entrò in uno stato di estatico compiacimento". Alla ripresa della battaglia, però, è costretto a fuggire; di nuovo il pensiero va alla sua 'prova': quali commenti avrebbero fatto i suoi compagni all'accampamento? Per un attimo si fa strada in lui l'idea dell'insensatezza dell'intera guerra, nel vedere l'indifferenza della natura a quanto accade:
"[...] Pareva che la Natura non avesse orecchie. Quel paesaggio gli dava sicurezza. Era un bel campo pieno di vita. Era la religione della pace, e sarebbe morta se i suoi timidi occhi fossero stati costretti a vedere il sangue. Egli concepiva la Natura come una donna con una profonda avversione per la tragedia."[p. 46]
La tappa successiva dell'iniziazione è il secondo incontro con la morte, il cadavere di un soldato appoggiato ad un albero, che lo fissa e sembra trattenerlo, interrogarlo:
"Seduto, con la schiena contro un albero simile a una colonna, un morto lo stava guardando.[...] Gli occhi che fissavano il giovane avevano assunto quella tinta opaca che si vede al fianco di un pesce morto. La bocca era aperta e il suo rosso si era cambiato in un giallo orribile. Sulla grigia pelle del viso correvano minute formiche. Una sospingeva una specie di involto lungo il labbro superiore"[p.47?8].
Il cadavere sembra esercitare una attrazione occulta su Henry; il giovane è assorbito dal "suo rosso", è quasi costretto a toccare il cadavere, a innescare il corto circuito tra la vita e la morte. E' in questo episodio, più che in altri, che il giovane comprende la natura del segno rosso, quello nel corpo in disfacimento del soldato. La morte si sveste di ogni significato metafisico, diventa corpo corroso, "cibo per vermi" (101).
Dopo la prima battaglia Henry si incammina con una schiera di feriti e, angosciato dal rimorso per essere fuggito, si trova ad invidiare "quella gran massa di uomini [che] sanguinava": "avrebbe voluto avere egli pure una ferita, un rosso distintivo del coraggio" [p. 54]. Si sente un escluso. Anche il suo amico, il soldato alto, che incontra per strada, è stato più fortunato di lui. Una grossa ferita al fianco ne provoca la morte, il volto teso in una smorfia che è la condanna più brutale della guerra: "La bocca era aperta e i denti si mostravano in una risata. [...] Il cadavere rimase a ridere, là nell'erba" [p. 59?60].
Le domande del soldato con la divisa a brandelli lo mettono in imbarazzo: "Anche tu potresti avere una ferita di quelle strane. Non si può mai dire. Da che parte è la tua?". Le sorti del conflitto non lo interessano più; prova solo vergogna per la sua codardia: non ha nessun emblema da mostrare, niente che dia un senso alle sue azioni.
Per una tragica ironia, una delle caratteristiche più moderne dello stile di Crane, anche Henry trova il suo emblema, ma uno falso, provocatogli da un suo stesso compagno col calcio di un fucile; un falso emblema che gli permette di non sentirsi estraneo a quella "processione di eletti", tutti marchiati di rosso, che si trascinano come spettri. Finalmente il rosso, la sensazione di fresco e di liquido, "le dita umide di sangue", l'ebbrezza slegata da ogni rapporto con l'altro, col nemico: vissuta come dramma individuale (11). È la cruda ferita che gli evita lo scherno dei compagni, quando finalmente li ritrova al limite di un girone infernale. Ritrova anche il suo amico, il soldato dalla voce sonora, anch'egli cambiato. Le sorti della battaglia, di fronte al suo dramma, sembrano di poca importanza; nemmeno si sa con certezza chi abbia vinto:
"- A quanto pare, pensano tutti che li abbiamo attirati proprio dove volevamo. - Questo non lo so - replicò il giovane, - quel che ho veduto laggiù sulla destra mi fa pensare che fosse proprio il contrario. Da dove mi trovavo io, pareva che stessimo prendendo una bella batosta, ieri.
Credi? - domandò l'amico- Io invece pensavo che ieri gli avessimo dato una bella strapazzatina.
- Macché…
"[p. 84].
Il falso emblema reintegra il suo orgoglio, ritorna la fiducia in se stesso: "Era ormai un uomo esperto". Poteva far sfoggio della sua macchia rossa ed elevarsi una spanna su tutti. Sulla base di questa falsa sicurezza, lo scontro successivo lo vede battersi come "un demone di guerra"; i suoi sogni sembrano di nuovo avverarsi. Ma la verità non tarda a venire a galla: anche questa battaglia non è stata che una scaramuccia? Udendo di nascosto un dialogo tra due ufficiali, Henry apprende la scarsa considerazione in cui è tenuto il suo reggimento: una banda di mulattieri. Vengono scelti per un attacco suicida e vi si gettano a capofitto. Sempre alla ricerca del suo emblema, finalmente lo trova: ma non nella gloriosa e individuale ferita, non "sul suo corpo morto [...] squarciato e sanguinante", bensì nel simbolo collettivo della bandiera, "il suo emblema [che], palpitando, volava alto" [p. 127]; vero simbolo del suo coraggio, unico punto fermo nel caos della battaglia (12).
Ma dal finale del romanzo è giusto dubitare circa una reale iniziazione alla vita mediata dall'esperienza della guerra. La guerra si rivela per Henry priva di senso, impossibile da interpretare; dopo il suo gesto eroico, la fermezza del suo emblema, la scoperta che "egli era un uomo", gli eserciti riprendono le loro vecchie posizioni, le stesse che avevano all'inizio della battaglia. Non un metro è stato conquistato.
Atti eroici, morti, nulla porta alla comprensione della guerra; non solo non si riesce a capire chi abbia vinto:
"Oh, se uno venisse a chiedermi il mio parere, direi che abbiamo preso una bella batosta - Batosta! secondo te! Ma noi, figliolo, non le abbiamo prese. Ora ci ritiriamo di qua, poi ci voltiamo e li prendiamo alle spalle"[p. 107].
Rolando Anzillotti si domanda: "Dopo il battesimo del fuoco, abbiamo visto che Henry è maturato, ha imparato a conoscere se stesso; ma è vero questo? C'è stato in lui un sicuro cambiamento?" (13). Se una maturazione c'è stata essa sembra non dovuta all'atto eroico compiuto in guerra, ma alla comprensione della illogicità della guerra stessa. Dopo tanta esaltazione, tanto sconforto, Henry
"Si accorse che poteva volgere indietro lo sguardo sulla pretenziosa verbosità dei suoi principi di un tempo e vederli quali erano realmente. Fu lieto di scoprire che li disprezzava. [...] Era stato vicino a toccare la grande morte, e aveva scoperto che, dopo tutto, era soltanto la grande morte, Egli era un uomo"[p. 133).
Il romanzo si chiude con l'immagine di una natura incantata: "Ora si volse con sete di amante a immagini di cieli tranquilli, prati novelli, freschi rivi: un'esistenza di soave ed eterna pace". II ciclo si è compiuto; il brano finale si riallaccia all'inizio del romanzo, quando Henry osserva sua madre mungere le mucche, sbucciare patate: immagini quotidiane ma dense di significato se contrapposte all'insensatezza della guerra (14). Si ha l'impressione che nulla sia da salvare delle esperienze di guerra se non l'incontro costante con la morte e col sangue. La guerra, "la bestia rossa [...] la dea gonfia di sangue" [p. 24], vero emblema di illogicità e caos (15).
3. A più riprese, nel corso del romanzo, il narratore e vari personaggi stentano a comprendere il senso di quello che stanno facendo: si marcia da mattina a sera "senza un vero scopo"[p. 25]; Henry nota "la mancanza di un piano nei generali" [ivi]; crede di combattere una battaglia definitiva e invece si accorge che "l'episodio sarebbe apparso nei resoconti a stampa sotto un titolo modesto e di poco risalto"[p. 49]; crede il suo reggimento un gruppo di eroi, quando invece è stimato come una banda di mulattieri. C'è da chiedersi se è il protagonista a non cogliere il senso degli avvenimenti, o se sono gli avvenimenti stessi ad essere privi di senso.
Un parallelo con Bierce può essere utile per la comprensione di questo punto centrale del romanzo di Crane: soprattutto il racconto "Chickamauga", il più bello delle Storie di Soldati di Bierce e forse uno dei suoi migliori in assoluto.
A Chickamauga fu combattuta una delle battaglie più sanguinose della guerra di secessione, con oltre 35.000 morti nel giro di due giorni. Bierce ne dà un quadro che compendia tutte le sue valutazioni sulla incomprensibilità della guerra: il racconto narra di un bambino che si inoltra in una foresta per giocare alla guerra; si addormenta e al risveglio si imbatte nella schiera di feriti e nel cumulo di morti provocati dalla battaglia. II bambino non riesce a comprendere l'assurdità di quello spettacolo e alla fine del racconto il lettore capisce perché: il bambino è sordomuto.
L'emblema di Bierce è ancor più truculento di quello di Crane:
"[...] Una faccia priva della mandibola: dai denti superiori alla gola era tutto un grande squarcio rosso con una frangia di brandelli di carne penzoloni e schegge d'osso. [...] La fronte era stata strappata via in gran parte, e dallo squarcio usciva il cervello, traboccando sulla tempia, una massa schiumosa e grigia con in cima dei grappoli di bolle vermiglie ... "(16).
Nel racconto di Bierce la risposta alla domanda che ci siamo posti è fin troppo evidente: la guerra è un caos privo di senso; ma non solo per un bambino sordomuto, già privo di strumenti adatti alla comprensione; anzi, la sordità e il mutismo del bambino sono non già la causa dell'incomprensione, ma l'effetto della guerra, 1'annichilimento totale dell'individuo:
", II bambino mosse le sue manine, facendo gesti frenetici, incerti. Emise una serie di grida inarticolate e indescrivibili, qualcosa tra il chiacchiericcio della scimmia e il gloglottare del tacchino... una voce che faceva trasalire, senz'anima, empia, il linguaggio del diavolo"(17).
Il tema del bambino ritorna anche ne Il Segno Rosso del Coraggio, con tanta insistenza da far credere che Crane avesse preso spunto proprio dal racconto di Bierce (18). Nel corso della narrazione lo scrittore fa spesso ricorso all'immagine del bambino per simbolizzare l'irretimento dell'individuo nei confronti della guerra. Durante la battaglia, il protagonista si trova a lottare "freneticamente [...], per avere aria, come fa un bimbo che vogliono soffocare e che lotta contro le mortali coperte"[p. 34]; quando viene colpito al capo da un suo stesso compagno crolla a terra e si muove barcollando "come un bimbo che cerca di camminare"[p. 71]. Ma anche riferita ad altri personaggi del romanzo la figura del bambino appare centrale: il soldato dalla voce sonora era "come un bambino chiassoso"[...] un bimbo spaccone" [p. 83]; il tenente "pareva un bambino che, dopo aver pianto a sazietà, alza gli occhi e fissa un giocattolo lontano" [p. 112]. E ancora "uno dei feriti aveva una scarpa piena di sangue. Saltellava come uno scolaretto e rideva in modo isterico"[p.51], mentre uno dei prigionieri "si curava una scalfittura a un piedi Se lo coccolava come un bambino" [p. 128].
L'immagine del bambino esemplifica il rapporto del soldato con la guerra, del singolo individuo con la caoticità degli scontri: l'uomo è di fronte alla guerra come il bambino inebetito e farneticante di Bierce. II bambino, però presente in entrambe le narrazioni, non rappresenta l"`anima bella", l'innocenza distrutta dalla violenza, bensì la situazione tipica del soldato: l'irretimento dell'individuo prodotto dal `mostro' che fugge ad ogni controllo del singolo e ad ogni razionalizzazione; il vuoto di senso, le azioni incomprensibili della guerra. Bierce a ciò aggiunge una incapacità ulteriore: il suo bimbo è sordo e muto, assordato dagli scoppi e ammutolito dal bagno di sangue (19).

NO'I'E
1) A. Bierce Storie di Soldati,, Einaudi, Torino, 1976; pubblicate nel 1891, l'autore aveva iniziato a scriverle dal 1885 circa.
2) S. Crune Il Segno Rosso del Coraggio, Garzanti, Milano, 1980. Tutte le citaz