fant)a(smatico - anno XXVIII - n.120 
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Gabriella Varvazzo
 
IL PROFILO FANTASTICO DI "1984" - 1
Parte Prima
 
Fin dalla sua pubblicazione, il romanzo "1984" di George Orwell, ha interessato la critica letteraria italiana per il suo specifico carattere apocalittico.
Anche se Eric Arthur Blair, vero nome dell'autore, aveva espresso nel suo testamento la volontà di non gradire biografie, la critica italiana, dopo quella straniera, si mise subito all'opera, manifestando per l'autore e per il suo romanzo un interesse sempre crescente, ancora vivo nei nostri giorni.
Gli anni che hanno visto l'evolversi dell'interesse della critica letteraria sul romanzo in questione, sono stati testimoni del succedersi di differenti chiavi di lettura, scelte per l'interpretazione e la collocazione del testo in più di uno specifico ambito letterario.
All'indomani della pubblicazione, durante il periodo immediatamente successivo alle due guerre mondiali, "1984" è stato considerato come un romanzo politico, ovvero la proiezione deformata della situazione politica mondiale nel 1948.
In tale periodo emersero sentimenti di sconforto e di disillusione da parte di coloro che, come Orwell, avevano creduto e sperato invano in un sentimento nazionale e patriottico puro e sincero. La visione del mondo che Orwell offriva era comune a molti altri uomini di quel tempo: una visione pessimistica, scaturita principalmente da una serie di esperienze personali dell'autore.
La linea interpretativa suggerita inizialmente dai critici degli anni '50 e '70 è prevalentemente basata sulle vicende biografiche dell'autore, evidenziando la sua partecipazione attiva di Partigiano alla Guerra in Spagna del 1937 (1).
Questo ventennio in particolare, è pervaso dalla generale tendenza a sottolineare il carattere "profetico" o "avveniristico" di "1984" e contemporaneamente di opporlo al genere utopico (2) .
Quest'ultimo è stato rivalutato durante gli anni '70 grazie alle nuove tendenze politiche di sinistra, stimolando uno studio più approfondito sia del concetto di Utopia, inteso come "progetto storico", sia della sua applicazione in campo letterario. L'opera di Orwell è stata, dunque, opportunamente distinta da quelle di Moro, Campanella, Platone e definita come "Utopia negativa" o "anti-utopica", finché poi, negli anni '80, non fu definitivamente adottato il termine Distopia (3) per indicare tutti quei romanzi che descrivevano una società ben organizzata, ma, proprio per questo, decisamente non augurabile e quindi da evitare.
Nel 1984, che è stato ribattezzato l'anno "orwelliano", si sono succeduti in Italia numerosi convegni ed incontri letterari frutto di nuovi studi su romanzo, ma anche sull'etimologia e sulla storiografia di Utopia e Distopia, sia come concetti che come generi letterari (4).
Non più incentrata esclusivamente sull'aspetto politico e sulle vicende biografiche dell'autore, l'attenzione della critica si sposta sul testo letterario, sui suoi contenuti semantici e formali, nonché sulla funzione della lingua: il linguaggio inteso come codice di trasmissione di messaggi e le modalità in cui tale codice viene assimilato dalla società e infine usato da l potere politico per manipolare ed assoggettare le masse (5). La funzione del romanzo, sulla quale sono ormai concordi tutti i critici letterari, è dunque quella di denuncia di ciò che era accaduto e, nello stesso tempo, di "Warning", ovvero di avvertire il lettore di ciò che potrebbe accadere: la necessaria valutazione di tutte le possibili conseguenze di un progetto sociale eviterebbe che il futuro invece di "un paradiso", come in modo ottimistico propone l'Utopia, si riveli "un inferno".
Le varie interpretazioni critiche sul romanzo di Orwell denotano il notevole successo e l'importanza che "1984" ha avuto e continua ad avere in ambito letterario e culturale. Se si considerano il valore sociologico del romanzo e il suo specifico carattere apocalittico, si potrà avanzare l'ipotesi di un'ulteriore chiave di lettura di tutti gli elementi, testuali e non, che, rivisitati alla luce delle argomentazioni enunciate dai critici letterari, potrebbero risultare determinanti per individuare un profilo Fantastico di "1984".
Nel definire tale genere, gli studiosi concordano, più o meno, sul concetto di trasgressione del reale da parte di un evento o di una situazione, di un fatto inquietante, inspiegabile, creando una condizione di squilibrio nel mondo normale (6).
G. Orwell, con il suo romanzo "1984", introduce il lettore in una società apocalittica i cui tratti essenziali non risultano come semplice frutto di espedienti letterari o dell'immaginazione pura, ma vengono riconosciuti dal lettore come possibili nella loro "realizzazione."
Lo stato di "smarrimento"(7), "di esitazione" (8), oppure "il dubbio"(9), in cui il lettore viene a cadere nel giudicare la realtà, evidentemente incomprensibile, diventa una necessaria condizione perché il fantastico esplichi la sua funzione pedagogica: il dubbio disorienta il lettore ma è espressione dell'ansia di conoscenza e rappresenta la certezza, per l'individuo, di sentirsi, di essere vivo.
Lo stato di inquietudine che il lettore avverte nel constatare l'incertezza della realtà fenomenica e nell'immedesimarsi con il personaggio/eroe che fallisce la sua lotta, nel tentativo di sovvertire l'ordine delle cose, rimane inalterato anche dopo aver terminato la sua lettura.
Il problema del Fantastico, non è quello di definire solamente gli espedienti e le tecniche di scrittura utilizzate dall'autore, ma di considerare anche quell'eterno rapporto scrittore - pubblico, che ogni opera artistica presuppone come atto di comunicazione, ed in quanto tale, non si può non prescindere dal considerare l'impatto dell'opera sull'immaginario sociale, la dinamica testo/conteso (10).
Ciò consente all'autore di trasferire dall'eroe al lettore quell'impegno e quel dovere,
( o forse la speranza) di conservare intatte le umane facoltà critiche e creative che consentono all'individuo di continuare ad essere un soggetto sociale.
Nel tentativo di valutare il rapporto ideologico instaurato dall'opera letteraria tra "coscienza possibile" e "coscienza reale", tra immaginario dell'autore e del lettore, si potrebbe affermare che: "Nell'epoca moderna la crisi irreversibile della condizione umana, divisa tra primato del fare e negazione dell'essere, ha generato una dicotomia insanabile tra razionale ed irrazionale, desacralizzando il sogno, inteso ormai come riflesso di una vitalità affievolita in rapporto alla veglia, sinonimo di produttività umana"(11). In nome del Positivismo più sfrenato, che mortifica fino ad annullare la potenza creatrice dell'immaginazione, la società perde sempre più la sua valenza di portatrice di cultura e di tradizione in cui il popolo, e con esso l'individuo, si identifica e si da un nome.
L'opera artistica, dunque, si pone come ostinata testimonianza di quella facoltà umana che impone, attraverso la creazione di nuove realtà possibili, la conservazione di quei miti e di quelle esperienze che hanno contribuito a dare identità ad un popolo.
Lì dove il progresso della civiltà tecnologica ha condotto alla schematizzazione delle funzioni e dei ruoli operativi della produzione di senso, lì dove la telematica ha schiacciato l'operatività dell'immaginazione, ecco che il ruolo dell'artista non è più rivolto alla difesa ad oltranza dell'individuo contro la società massificata, ma si sforza di cercare un rapporto di forze sul piano socio - culturale, percorrendo gli spazi incogniti, irrazionali della nostra esistenza.
Orwell aveva individuato, nella sua società del suo tempo, una progressiva riduzione dell'area esperienziale, l'espropriazione dei valori umani operata dall'apparato tecnocratico che li assoggetta e li condiziona ai suoi fini.
L'immobilità del tessuto sociale e lo svuotamento culturale sono dunque il risultato della spersonalizzazione del potere e del tramonto dell'individuo come eroe ed arbitro del suo destino. Il dramma viene individuato da Orwell non già nel naturale mutamento sociale, ma nell'annientamento totale di quei principi sui quali si fonda la società e nella rinuncia sul piano spirituale dei sui stessi diritti.
L'opera avveniristica si oppone, dunque, alla realizzazione del tanto sognato "mondo migliore" e non per assumere una semplice posizione disfattista, ma per la realistica constatazione che la società, inebriata e assopita nel torpore della remissività, ha raggiunto la falsa consapevolezza che, coloro che essa stessa ha delegato "a pensare", siano nel giusto.
La protesta, ed insieme il valore distopico del romanzo si configura sotto la specie di un 'apparente riscatto della ragione, sia nel tentativo di recuperare i diritti assoluti dell'individuo , sia come denuncia di un mondo disumanizzato dall'anonimo potere dell'organizzazione.
Nel romanzo "1984", la società orwelliana non appartiene né al 1948, l'anno della pubblicazione, né al nostro passato trascorso da quindici anni : essa si è secolarizzata portando con sé, in ogni momento, la testimonianza, e l'avvertimento di ciò che è realmente accaduto. La funzione del romanzo, lungi dal profetizzare, è quella di svegliare la coscienza del lettore dal torpore della consuetudine e della banalità quotidiana, lasciandolo in uno stato di paura affinché si prepari "al peggio" e che sia pronto ad evitarlo.
Ai livelli di scrittura, realistico (fabula) e immaginario (narrazione), corrisponde una duplice dimensione del fantastico: la prima si rifletterà sul piano dell'immaginario collettivo (la società descritta); la seconda dimensione riguarda l'immaginario individuale (lettore - eroe - autore) (12).
Sul piano realistico, il narratore (onnisciente) guida il lettore nell'universo della fabula, indicandogli la trama, le prospettive e le opportune focalizzazioni del dramma. Già dalla prima pagina il lettore è indotto a provare l'esitazione todoroviana nel giudicare come reale la società da incubo che Orwell gli descrive. Nella prima frase compare un elemento che turba il lettore: gli orologi battono tredici colpi ed egli sa bene che non esiste in nessun orologio al mondo la tredicesima ora (13). È il primo segnale di avvertimento sul fatto che anche la più stabile delle convenzioni, quella temporale, può essere manipolata da chi detiene il potere.
Quest'ultimo coincide con la figura di un uomo rappresentato in un poster che ossessivamente appare in ogni angolo delle strade; la sua minacciosa onnipresenza e il suo incessante controllo sono esplicitamente dichiarati nella scritta in basso al poster: "Il Grande Fratello vi guarda".
Al lettore viene dunque presentato il mondo totalitario dello stato di Oceania, dove il controllo ossessivo e senza scampo del Partito, della Psicopolizia e delle telecamere ricetrasmittenti, lasciano intuire la mancanza di libertà non solo d'espressione, ma anche di movimenti, di sentimenti e di pensieri.
L'approccio è con un mondo alla rovescia, dove si è costretti a concepire per normali le cose più inaudite. La continua distorsione dei valori umani, la contraffazione quotidiana della realtà e della storia, l'incessante lavaggio del cervello, compiuto dalla voce gracchiante che fuoriesce dagli altoparlanti posizionati ovunque, infine il timore di commettere "crimine di pensiero" e " crimine sessuale", hanno ridotto la società in un ammasso di miserabili automi, alienati ed ammaestrati al punto da essere disposti a credere che "2+2 fanno 5", se solo lo dice il Partito.
In questo contesto acquistano un senso gli slogan patriottici " la guerra è pace", "la libertà è schiavitù", "l'ignoranza è forza". La validità semantica di questi ossimori è dovuta alla contraffazione sistematica e disorientante del nuovo linguaggio creato all'occasione dal Partito: la Neolingua. Attraverso quest'ultima, proponendo la riduzione degli elementi lessicali, il Partito mira alla diminuzione dei concetti che la lingua esprime, riducendo le stesse facoltà mentali adatte a questa funzione.
Il lettore si ritrova, a questo punto, in una prima dimensione fantastica, specificamente legata al livello di fabula: egli è scosso, inquietato da quel tipo di società che gli viene presentata.
Se inizialmente egli era disposto ad accettare un invenzione letteraria, ora si ritrova, invece, davanti al proprio universo, in cui tutti gli elementi sono stati solo opportunamente deformati, come se fossero stati il frutto di una visione onirica, di un'allucinazione, come di fronte ad un quadro di Picasso.
Il lettore non ha più ormai le necessarie conoscenze per distinguere il vero dal falso ed è convinto di non essere stato confuso da un'illusione letteraria perché è cosciente di vivere quella realtà possibile: il mondo che inizialmente gli appariva "estraneo" è invece paurosamente molto vicino e simile al suo.
Quando, infatti, la narrazione ingloba anche le implicazioni sociali, psicologiche e storiche dell'immaginario collettivo, il lettore viene prima turbato dalla storia superficiale (quella che narra dei fatti inauditi) e successivamente da quella più profonda e significativa, che non è mai stata direttamente raccontata, ma che si svela nella mente di chi legge.
La storia fantastica può essere definita come racconto "narrato due volte o narrazione a doppio significato". Al lettore non possono sfuggire gli elementi referenziali dell'universo fantastico: essi appartengono alla sua realtà e gli viene chiesta la sensibilità di avvertire che essa cela situazioni ai margini del possibile. Ciò che colpisce il lettore non è la fantasia allo stato puro, ma la possibilità della realizzazione: egli "crede perché ritiene realizzabile ciò che legge (14)
Il fantastico in generale, ed il nostro romanzo in particolare, sono disseminati di elementi del dejà-vù, di quel qualcosa di familiare che qualsiasi lettore riconosce come tali, durante l'evolversi della narrazione.
La descrizione del Grande Fratello ricorda la figura di Stalin; le telecamere ricetrasmittenti sono quelle a circuito chiuso delle nostre carceri, delle banche, dei supermercati e delle ville facoltose. La Neolingua somiglia a quella utilizzata dagli spot televisivi o al linguaggio telematico dei computer (di internet specialmente); la divisione del mondo in zone di influenza è rappresentata dai mega - stati e dai loro colossi societari che governano il mercato mondiale. L'ossimoro " la guerra è pace", per esempio ,non appare più tanto assurdo, se si considera il recentissimo attacco bellico da parte della Nato, volto a frenare i genocidi del governo serbo di Milosevic sulla popolazione kosovara. Alle soglie del duemila, fallita l'azione diplomatica mondiale, per fermare un nuovo Grande Fratello e ristabilire la Pace è paradossalmente necessaria la Guerra.
La lista delle coincidenze tra il mondo oceanico e il mondo del lettore potrebbe continuare man mano che egli procede nella lettura del romanzo.
Il fantastico si pone in sostituzione delle certezze del realismo, con le sue sfide all'irrazionale: niente è più strano della vita reale; essa stessa è fantastica e la letteratura non fa che confermarlo. Il fantastico non ci offre soluzioni ma ci pone nuove domande, arricchisce la nostra coscienza mostrandoci un nuovo rapporto con il mondo, costruito com'è, non soltanto da oggetti concreti o eventi reali ma fatto anche di pluralità di immagini, difficili a volte da esprimere a parole o da raccontare.
È questa la situazione che vive lo stesso protagonista del nostro romanzo.
Siamo nel secondo livello di scrittura che riguarda il Diario a cui Winston Smith affida le sue confessioni più segrete. Egli è un membro del Partito Esterno ed al Ministero della Verità il suo lavoro consiste nell'aggiornare i vecchi articoli del Times, che altrimenti costituirebbero prove d'accusa inconfutabili contro le menzogne quotidiane del Partito.
Winston viene descritto fisicamente in maniera antitetica ed in posizione di antagonismo con il Grande Fratello. Quest'ultimo è forte, dai lineamenti rudi ma non sgradevoli, dalla faccia enorme e dai lunghi baffi neri, mentre Winston è magro gracile, marchiato nel fisico (un' ulcera varicosa alla caviglia destra) e nell'animo (un trauma infantile).
Contemporaneamente alla descrizione della società oceanica, il lettore scopre che Winston è vittima di un senso di colpa nei confronti della madre e della sorella morte prima dell'arrivo del Grande Fratello.
Questo sentimento lo spinge all'autoanalisi nel tentativo di ricostruire il proprio passato. Questa operazione gli risulta difficile, in quanto il condizionamento da parte del Potere è tale che le facoltà mentali di ogni individuo sono ridotte al minimo, soprattutto quelle che riguardano la memoria.
Winston conserva ancora un barlume di lucidità proprio grazie al trauma subito durante la sua infanzia e che la sua coscienza aveva rimosso trasformandolo in "segreto". Quest'ultimo rappresenta un sapere nascosto agli altri, che diventa il simbolo riassuntivo della storia dell'individuo e nello stesso tempo, il timbro della sua identità. Ciò che conta, non è tanto il contenuto del segreto, ma la sua funzione che consiste nel salvaguardare la coesione dell'organizzazione psichica: se l'individuo rivela il suo segreto, verrà espropriato della propria identità. La detenzione di segreti, dunque, non è di per sé un sintomo nevrotico: al contrario, essa è costitutiva della soggettività. L'io, infatti è tale solo nella misura in cui si divide, si separa dagli altri ("segreto" deriva etimologicamente da secretum, ovvero secernere che vuol dire dividere, separare dagli altri).
Nel suo approccio con la realtà l'individuo attraversa delle fasi ben distinte, la cui dinamica viene offerta dallo psicologo francese Andrè Virel in Histoire de notre image, Mont-Blanc, Genève, 1965 (p.46): "Nel corso della prima fase l'essere è relativamente indifferenziato rispetto al mondo che lo circonda. (...) Questa fase originaria viene chiamata cosmogenica" . Il rapporto è del tipo Io-Io, simile a quello del bambino nei primi mesi di vita, durante il quale la conoscenza sarà di tipo sincretico. "Sopravviene la fase seconda nel corso della quale l'essere si separa dal mondo. Non è ancora la differenziazione, ma è dualismo, la separazione in quanto opposizione all'ambiente. E' la fase schizogenica ed ha come sua caratteristica la discontinuità." Il rapporto sarà del tipo Io-Tu e la conoscenza sarà del tipo analitico. "Infine la terza fase, al termine della serie riproduce una nuova fase di continuità. Ma mentre l'essere appariva inizialmente indifferenziato rispetto all'ambiente, ora esso è differenziato (...). Nel corso di questa fase, che noi chiamiamo autogenica, l'essere si genera da sé, esiste per se stesso. Egli è un mondo autonomo. Il dualismo schizogenico lascia il posto alla relazione dinamica tra l'essere e il mondo". Stabilendo, dunque, un nuovo rapporto del tipo Io-Esso l'individuo si differenzia dall'altro da sé, e con esso si confronta continuamente mediante l'uso di una conoscenza di tipo sintetico.
Ora, siccome l'Io, si è detto, è costituito anche da segreti, conoscenze nascoste agli altri, l'individuo può allentare i vincoli con l'altro da sé, mediante la creazione di menzogne o di mondi irreali.
La scoperta del potere creativo dell'immaginazione rende consapevole l'individuo di poter custodire i propri segreti, sentirsi soggetto integro ed autonomo.
La detenzione dei segreti diventa patologica quando non si manifesta come facoltà di scegliere liberamente i pensieri da comunicare e quelli da non comunicare, bensì diventa una custodia ossessiva del segreto, dal quale il soggetto fa dipendere tutta la sua vita. Tale custodia ha in questo caso un ruolo statico e regressivo, perché tutela sì l'integrità dell'Io, ma la vincola ad un passato al di là del quale egli non sa andare (15).
In "1984" esistono entrambe le valenze della detenzione del segreto, quella normale e quella patologica, generando in Winston un conflitto della personalità, contrapponendo ciò che egli vorrebbe essere a ciò che effettivamente è.
Il tema del segreto si presenta nel romanzo, in primo luogo come ricerca di spazi chiusi in cui Winston si nasconde per cercarsi un po' di autonomia: la nicchia del muro nel soggiorno di casa sua (l'unico punto che sfugge alla telecamera); la radura nel bosco dove incontrerà Julia per la prima volta, con la quale instaurerà una relazione sessuale; la stanza che Winston prenderà in affitto da un robivecchi nel quartiere dei Prolet.
Non a caso la solitudine è anatema in Oceania: ogni possibilità di privacy è preclusa come pure i segreti che limiterebbero il controllo totale della massa da parte del Partito. Winston inizialmente può opporre solo il suo Diario: un esercizio solitario che acquista per lui la stessa funzione della menzogna per il bambino.
Ciò che egli nasconde nelle pagine del Diario è il suo pensiero segreto, separato e contrapposto a quello del Partit: la prima cosa che scrive in maniera frettolosa, caotica ed incoerente è: "Abbasso il Grande Fratello" .
Rivelando una personalità schizofrenica, la scrittura di Winston appare fortemente condizionata ed impedita dalla mancanza di libertà e dalla paura di essere colto in fallo dal teleschermo.
Il Diario rappresenta un atto di gravità inaudita in Oceania: esso è " crimine di pensiero" e pertanto punibile dal Partito con la Morte. Consapevole della sua colpa, Winston continua la sua attività di scrittura, dando inizio così alla sua rivolta personale. Nella ritrovata intimità rompe gli schemi precostituiti, l'ordine stabilito e lo sovverte opponendogli il suo mondo.
Con la stesura del Diario, l'individualità di Winston può iniziare a ricomporsi, recuperando il passato e proiettandosi verso il futuro. Egli comincia ad interrogarsi sulla propria origine sulla propria infanzia, sulla madre, sulla sorella ed infine sulla Londra di una volta. Inconsapevolmente egli ritrova a fatica non solo la memoria individuale, ma anche quella collettiva; il suo passato è anche storia.
Memoria e storia sono proprio le componenti umane che il Partito vuole cancellare perché esse rappresentano tutto quanto si è sedimentato nel soggetto, ne ha strutturato la psiche e ne articola l'affettività.
La segretezza è anche forma originaria del rifiuto e della dissidenza: Winston diventa l'outsider, il ribelle, il trasgressore, solo contro tutti.
"La dimensione del disordine trasgressivo del Fantastico è puramente individuale le loro manifestazioni si esplicano nel privato, lontano da ogni forma di comunità" (16). La natura fortemente individuale di questa dimensione svela l'intento di "insegnare ad ascoltare, a vedere, a pensare e a vivere da soli, sregolando e denormalizzando l'individuo. (...) La società preferisce sempre chi la rassicura e conferma la sua buona coscienza rinviandole allo specchio l'immagine statisticamente dominante"(17).

NOTA BIBLIOGRAFICA
(1) Si vedano le interpretazioni di:
Astaldi M.L. - "G. Orwell, critico e saggista" in Letture Inglesi - Neri Pozza, Venezia 1953; Cecchi
E. "La fattoria degli animali" e "Conversazioni con Orwell" in <