Dopo Beslan
Anna Pizzuti - 08-09-2004


Sul che fare, dopo Beslan – anche se molto più bello e vivo sarebbe stato interrogarsi sul che fare, prima di Beslan, come prima di tanta, tutta, l’altra violenza – ci si sta interrogando.

Come cittadini e come insegnanti. Ammesso che il binomio sia scindibile.

Dalla strage in una scuola, ai gesti nelle scuole, quelle serene e salve.

Portare un fiore, come ci suggerisce questo comunicato , o, come sentivo oggi da un tg, portare la sagoma di un bambino, per scriverci sopra un pensiero. Io stessa, un gesto in qualche modo analogo lo avevo suggerito.

Ma i gesti passano e l’orrore resta. Perciò ho continuato ad interrogarmi, e a non accontentarmi.

Ragionando dentro di me intorno al privilegio che è dato a noi insegnanti: quello di avere a disposizione tutti i pensieri che sono stati pensati e le parole che sono state dette e i sogni che sono stati fatti. E di poter scegliere tra di essi e trasformarli in pensieri, parole e sogni per il futuro.

Ci stavo lavorando, per conto mio, quando mi è accaduto di leggere, sulla Repubblica di ieri, questo intervento di Bernardo Valli.

Che ci guida a non cercare solo (solo?) nella storia, come naturalmente è necessario fare – per inciso, anche nella storia della Cecenia – e nella strategia etica, prima che politica, la risposta al “che fare”.

Per Valli il fanatismo (attenzione, il fanatismo, non il fondamentalismo) è un virus ed in quanto tale, come quello della peste e della lebbra, potrebbe, dovrà essere debellato. Tutto sta a trovare il vaccino, la terapia. Ed - aggiungo io - a non combatterlo con l’equivalente delle processioni di manzoniana memoria.

Scrive Valli:
Uno scrittore ci propone una terapia. Lo fa anzitutto in quanto romanziere. Per scrivere un romanzo bisogna infatti essere capaci di assumersi una mezza dozzina di conflitti e sentimenti contraddittori e opinioni, con lo stesso grado di convinzione, veemenza ed empatia.
Amos Oz parte da questo assunto di un suo celebre predecessore (l´inglese D. H. Lawrence), per cercare di applicare nella realtà quel che si impone alla scrivania, quando sviluppa la trama di un racconto e deve spartire non soltanto la sua fedeltà, ma persino i suoi sentimenti fra i diversi personaggi che ha creato. L´esercizio letterario di mettersi nella pelle degli altri lo aiuta nella sua vita di ebreo israeliano, lo favorisce nell´immaginare come ci si sente a essere un palestinese sradicato, gli consente di immedesimarsi in un arabo palestinese cui degli «alieni di un altro pianeta» hanno portato via la terra natale. E come ci si sente, prosegue Amos Oz, a essere coloni israeliani in Cisgiordania. Vedere il punto di vista degli altri, chiunque essi siano, analizzarlo, studiarlo, non significa giustificarlo. E ancor meno abbracciarlo. Serve a contenere il fanatismo. Anche quando si ha ragione al cento per cento; e l´altro ha torto al cento per cento; anche in quel momento è utile immaginare l´altro. In dimensioni e tempi diversi, e nell´incertezza della cronaca quotidiana, legata alle fragili verità del momento, anche chi tratta l´attualità, e la commenta, dovrebbe applicare la cura suggerita da Amos Oz. Serve a diluire il fanatismo congenito. Serve a diluire il fanatismo congenito


Saper essere anche l’altro. Un dono celeste. Che non deve essere dato solo ai romanzieri, ma a tutti noi, perché è l’unico che ci consente di uscire dalla gabbia della “civiltà”, che anche quando ci sembra gentile, anche quando ci rifiutiamo di esportarla con la ferrovia che avanza contro i bisonti o con le armi, direttamente, rischia di diventare assoluta, per il fatto stesso di essere solo una.

L’inferno sono gli altri” concludeva il personaggio sartiano in “A porte chiuse

Senza però chiedersi se così è e sarà fino a quando le porte resteranno chiuse.

Ma il ragionamento prosegue. Ed è una sorta di programmazione didattica che il romanziere ci propone.Anzi, mi piace immaginare che Valli stesso ci abbia pensato, parlandoci di Amos Oz.

“Oz ha illustrato la sua cura in una serie di interventi all´Università di Tubinga, in Germania, adesso reperibili grazie a un volumetto (edito da Feltrinelli, con la traduzione di Elena Lowenthal), che dovremmo tenere a portata di mano, non come un breviario, piuttosto come un calmante, un betabloccante, in questa stagione in cui il fanatismo imperversa. E accende, moltiplica le angosce individuali e collettive. Del resto l´autore non nasconde la tentazione di fare delle pillole, sì proprio pasticche, fabbricate con ingredienti letterari. Alcune opere di grandi scrittori possono in una certa misura aiutare, se non proprio guarire. A suo avviso Shakespeare può fare molto. Ogni forma di fanatismo, per lui, si conclude in una tragedia o in una farsa. Il fanatico non è mai più felice o più premiato, alla fine muore o diventa una burla.
Anche Gogol può dissuadere i fanatici. Ci insegna che il naso, il nostro naso, può diventare un´ossessione, e spingere a dargli la caccia come a un nemico acerrimo. Lo stesso Kafka, pur non avendo in sé un potenziale contro il fanatismo, dimostra che c´è buio e c´è mistero e c´è scherno anche quando siamo convinti di non aver fatto nulla di male. E di essere nel giusto.
Alle situazioni shakespeariane bisogna preferire quelle cechoviane: nelle prime tutto si conclude con la scena zeppa di cadaveri: nelle seconde con personaggi scontenti, perplessi, ma vivi. Così nella vita i compromessi, non i cedimenti ma il reciproco sofferto rispetto dei diritti, non garantisce la piena soddisfazione, né indiscutibili vittorie, ma consente la convivenza.
Ossia la vita. La quale è un fine, e non un mezzo come pensano i fanatici.”


Amos Oz è stato presentato così da Newsweek "Eloquente, umano, persino religioso, nel senso più profondo, [Oz] è una sorta di Orwell sionista: un uomo complesso, ossessionato dal semplice senso del decoro e determinato soprattutto a dire la verità, anche a costo di ferire qualcuno."

Eppure lo scrittore, alla domanda: “Qual è la cura contro il fanatismo?” che gli veniva posta durante una intervista, ha risposto:

Innanzitutto sono necessari relativismo e scetticismo. E credo che il senso dell'umorismo sia una grande cura. Non ho mai visto una persona dotata di humor diventare un fanatico. E non ho mai visto un fanatico con il senso dell'umorismo, perché possederlo significa saper ridere di se stessi”.

Viviamo in tempi disperati. Ma possiamo imparare, ed anche insegnare, a non disperare.



interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Emanuela Cerutti    - 08-09-2004
Bellissimo e difficile l'esercizio di "mettersi nella pelle degli altri".
Ricordo l'esperienza del Teatro dell'Oppresso, proposto da Augusto Boal nel Brasile dei primi anni '90. Gli animatori scendevano nelle strade e nelle piazze, raccoglievano i problemi delle persone in tempi di dittatura, insegnavano loro a riversarli nella finzione scenica, abbastanza protetta dai rischi e dalle paure, per prendere coscienza di se stesse, della propria situazione e delle proprie possibilità. Per "giocare" a "fare diverso", mettendosi nei diversi panni alla ricerca di soluzioni per una vita accettabile.
Oggi in Italia ci sono stages cui partecipare, per apprendere tecniche utilizzabili nei propri gruppi di impegno politico o sociale, o nelle scuole. Tecniche e metodi formativi perchè il cambiamento trovi la strada che porta dal personale al collettivo, dalle convinzioni alla loro pratica condivisa.
Un cammino lungo, uno dei tanti, che ci può far scoprire le mille facce ed i mille risvolti che ogni conflitto porta con sè.
Qui ci sono solo alcuni link di riferimento:

www.webartisti.it

www.teatrostudio.it/tdo.htm


www.utopie.it



 Anna Di Gennaro Melchiori    - 08-09-2004
Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo Borromeo.
Carissimi,
vi proponiamo un giudizio di don Massimo Camisasca sui tragici fatti accaduti nella scuola di Beslan in Ossezia.


Ogni volta sembra che si sia toccato il fondo, che ciò che non era immaginabile prima sia accaduto, che le immagini della televisione abbiano superato la crudeltà, l'efferatezza del film o del romanzo più sanguinario e crudele.
In realtà non è così: il demonio che è tra noi può suscitare sempre nuove spaventose pagine. Quando ci lasciamo dominare dall'ira, dal desiderio della rivincita, quando il nostro cuore si lascia invadere dalla tentazione di far giustizia da se stesso, dove possiamo arrivare?
Per questo la colpa più grande è dei seminatori di odio, di coloro che giustificano il male. Per questo Gesù ha cominciato dagli indemoniati e ha identificato la sua venuta e la sua opera con l'espulsione di Satana dal mondo. Ma la sua venuta non è compiuta. È compiuta in sé, ma non in noi. Guai a chi non si chiedesse: "Cosa ha voluto insegnarci Dio attraverso la morte di tanti bambini, lo strazio di tante madri, l'orrore di tanta barbarie?"
Guai a chi non si fermasse per chiedere la grazia: liberaci dal Male.
Le madri dell'Ossezia hanno rinnovato nei nostri occhi il dolore della Madre di Dio sul Calvario. Possa il sacrificio di queste Madri e dei loro figli ottenere da Dio la conversione dei cuori.

Massimo Camisasca, 6 settembre 2004



 Giuseppe Aragno    - 08-09-2004
Siamo stati in pochi ad interrogarci sul che fare prima. In pochi, ma l'abbiamo fatto. "Taci, il nemico ci ascolta" ci hanno replicato a muso duro, ricordandoci il dovere di sporcarsi le mani.
Nessuno replicò. Sarebbe facile e stupido dire che avevamo ragione. Una domanda però a me viene spontanea : quante mani sporche vanno facendo ora ipocrite fiaccolate?
Tutti ci diciamo sconvolti. E sarà vero. Non tutti però eravamo e siamo sulla stessa barricata.






 Anna Pizzuti    - 09-09-2004
Ho riletto. E credo dovremmo rileggere tutti, per verificare chi avesse una visione più chiara del futuro.
Chi fosse vero storico.
Perchè sempre più mi sto convincendo che si dà storia solo se è storia del futuro.

Una precisazione, però, forse inutile. Quando scrivevo che bisognava chiedersi "che fare" prima di Beslan, intendevo riferirmi a chi deteneva il potere per metterlo in atto, quel "che fare", per fare in modo che Beslan non accadesse.

Ingenuamente mi sono chiesta, in questi anni, come facessero Bush, Putin ed i loro amici, compreso quello che ci governa, a non prevedere gli effetti delle loro scelte.

Molto meno ingenuamnte, oggi, comprendo che lo sapevano benissimo e forse lo volevano.

Solo che, nel baratro che hanno scavato, altri sono precipitati, non loro.