RAPPORTO ANNUALE SULLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE 36°/2002
Censis - 07-12-2002


LeConsiderazioni generali che aprono il Rapporto Censis 2002 passano in rassegna i fatti salienti dell’attuale congiuntura. “La nostra società presenta oggi una stazionarietà prolungata senza contraccolpi di reattività”. Fra stazionarietà e pericoli strutturali di declino, non deve sorprendere che si insinui oggi “un’ambigua deriva di curvatura concava della vita collettiva”, preludio a un nuovo modello italiano non centrato sulla crescita continuata ma sulla qualità della vita. Ma accanto a questa “ambigua tentazione al concavo”, sembra emergere una novità meno preoccupante, ossia l’avvio di un ciclo di latente metamorfosi attraverso trasformazioni sottili che potranno cambiare il volto complessivo del Paese.

Nella seconda parte del Rapporto, La Società italiana al 2002, vi sono le principali fenomenologie dell’anno.Ilresetdellanewe conomy, la ripresa dell’immobiliare, le nuove reti sociali, e il successo del “viver bene” made in Italy come nuovi spazi di crescita. Il timido aumento dell’occupazione, i contraddittori comportamenti d’impresa, e il congelamento del risparmio familiare, sintomi della stazionarietà in cui siamo. Il declinante impulso delle aspettative, nel latente clima di guerra, con il federalismo e le grandi opere esempi di obiettivi chiari dagli esiti incerti. E infine il perdurare di blocchi sistemici. Nella terza e quarta parte si trovano le analisi settoriali: la Formazione, il Lavoro, il Welfare, il Territorio, i Soggetti economici, il Governo pubblico, la Comunicazione



Il sistema di Welfare


Voglia di libertà, incerta tutela e nuova istituzionalità nel welfare

Nel welfare convivono voglia di libertà e di personalizzazione delle prestazioni e timore che dalle grandi manovre sull’offerta esca, come saldo netto dei mutamenti, una fragilità sostanziale della rete di protezione.
Sul piano operativo si registra l’accelerazione del ricorso agli strumenti di autotutela e di responsabilizzazione individuale (dalla proliferazione di polizze agli strumenti di accumulo di risparmio per i bisogni futuri dei figli) e l’insorgere di forme di microconflittualità diffusa, territoriale, di settore, per cluster di interessi e sensibilità spesso reversibili e temporanee, che sfilaccia la coesione sociale.
Dal lato dell’offerta sono emerse come problematiche cruciali, l’incombere del rigore finanziario ed il pericoloso riprodursi ai vari livelli istituzionali (da quelli europei a quelli locali) della verticalizzazione spinta dei poteri decisionali.
Pesa, inoltre, l’idea che l’unica forma di istituzione possibile sia quella “statale”. E ciò assume oggi un carattere particolarmente patologico, poiché le istituzioni statali, centrali e decentrate, “esportano” nel loro rapporto col sociale i vizi di verticalità, di richiesta di fedeltà e di adesione a modelli operativi imposti dall’alto. Inoltre, le grandi manovre sulle istituzioni e sull’organizzazione dell’offerta pubblica, sinora, non hanno prodotto risultati visibili in termini di qualità dei servizi per i cittadini.
In questo quadro, va comunque emergendo una rilevante vitalità neoistituzionale, fatta di soggetti nati nel profondo dei processi molecolarizzanti, come l’associazionismo diffuso e funzionale di utenti e operatori (dalle singole associazioni, cooperative, organizzazioni di volontariato alla proliferazione di nodi e reti), lo sviluppo di autonomie funzionali (dalle Asl ai centri diagnostici ai piccoli ospedali ecc..), la condensazione territoriale dei bisogni (ruolo dei distretti, delle comunità montane, dell’associazionismo dei comuni ecc..), il radicamento di reti di responsabilità sociale diffusa (dal microcredito all’impresa sociale) ed il coinvolgimento degli stakeholders nella gestione degli interventi.
Tutto ciò converge, con tempi e intensità diversi, verso la costituzione di un tessuto intermedio di tipo socio istituzionale che spezza la centralità “statalista” e l’isolamento molecolare puro e opera per via orizzontale, policentrica, ad architettura distribuita. Dare sicurezza individuale e collettiva non è più solo un compito di uno Stato che si rinnova e si attrezza (cosa comunque importante), ma chiama in causa direttamente un reticolo diffuso capace di creare, sul terreno, il clima di fiducia, il tessuto comunitario, che solo si mostra oggi capace di offrire il bene sicurezza con l’efficacia con cui il welfare tradizionale lo ha fatto in altra fase della storia nazionale.

Devolution sanitaria: aspettando la qualità

Tra i cittadini esiste un’ambivalenza di fondo nei confronti della sanità regionalizzata, poiché il 56,3% degli intervistati è favorevole all’attribuzione alle Regioni della responsabilità totale in materia di sanità, (il 33,6% perché consente di creare una sanità più vicina alle esigenze locali ed il 15,2% perché responsabilizza i vari soggetti), mentre il 43,7% è contrario (in particolare il 27,6% teme l’accentuazione delle disparità territoriali) (tab. 1).




Nei confronti del rischio di uno spacchettamento del Servizio sanitario nazionale in 21 unità più piccole emerge una sorta di rassegnazione per il 42,7% che lo considera reale e inevitabile, il 32,2% pur considerandolo un pericolo reale ritiene lo si possa evitare, mentre il 25,1%, sia pure con motivazioni diverse, non ritiene che il pericolo sussista. In questo quadro si deve porre maggiore attenzione alle concrete dinamiche e opinioni dei cittadini per i quali la lunghezza delle liste di attesa (62,8%) è il principale problema della sanità pubblica (tab. 3), mentre il potenziamento dell’assistenza domiciliare sia per malati cronici e non autosufficienti (27,9%) che, laddove possibile, in sostituzione del ricovero ospedaliero (27,1%), il collegamento tra ospedali e centri di alta specialità (27,8%) ed il potenziamento della medicina dell’urgenza (27%) sono i principali interventi da attuare.





Reti spontanee e innovazione pubblica nel comparto socioassistenziale


Va crescendo la domanda di assistenza da parte degli anziani con livelli decrescenti di autosufficienza ed, in concreto, il 23,4% degli over 60 necessita di assistenza con, in particolare, il 3% che si è dichiarato non autosufficiente (tab. 5). In caso di necessità l’assistenza è garantita dal contesto familiare: in particolare dai figli (67,9%), dal coniuge o convivente (48,3%) e da altri parenti (25,8%) (tab. 6). Inoltre, ben il 10,2% degli anziani fa ricorso all’aiuto delle badanti, mentre i servizi domiciliari erogati dalle strutture pubbliche sono richiamati soltanto dal 2,7%. Il 63,9% degli anziani valuta come inadeguati i servizi diurni per anziani non autosufficienti e disabili, il 50,4% reputa inadeguati i servizi di assistenza domiciliare ed il 46,6% dichiara di non conoscere i servizi di assistenza domiciliare integrata.







In relazione ad ipotesi di innovazione delle modalità di finanziamento e accesso ai servizi, si constata che il 52,5% degli italiani è molto o abbastanza d’accordo con l’introduzione di un Fondo per i non autosufficienti ed il 29,5% degli ultrasessantenni è favorevole all’erogazione a ciascun anziano di un buono da spendere per l’acquisto di prestazioni socioassistenziali (ad esempio, di assistenza domiciliare).

Minori e adolescenti: l’introvabile responsabilità

Se per gli adulti l’ampliamento degli spazi di libertà di scelta e di autoresponsabilizzazione appare come una grande opportunità positiva, per i minori rischia di essere un mare aperto da affrontare senza la dovuta preparazione ad esercitare la capacità di scelta.
Alla richiesta di indicare quale sia il modello di riferimento al quale, crescendo, vogliono somigliare è emerso che il 34% degli adolescenti ha dichiarato di non avere alcun modello di riferimento, il 22% di volere diventare una persona influente, il 18,6% un attore o un cantante o uno sportivo famoso; il padre è un modello di riferimento per il 5,9% degli intervistati e la madre lo è per il 4,2%. Inoltre, per le madri la percentuale di adolescenti che le sente come presenti è pari all’88,7%, il 2,4% le definisce assenti e l’8,9% incombenti (tab. 10); per i padri l’81,5% li valuta come presenti, l’11,7% come assenti ed il 6,9% come incombenti. Ben il 79,9% degli adolescenti non considera come trasgressione il dire le bugie ai genitori.




Gli adolescenti hanno un’esperienza quotidiana ricca, articolata, inserita nella densità relazionale e nel pluralismo delle opportunità. I luoghi più frequentati dagli adolescenti nel tempo libero sono i bar/pub/birrerie/ristoranti (63,5%), la strada/piazza/muretto (43,4%) e le case degli amici (41,9%) (tab. 11). Mentre le attività svolte generalmente nel tempo libero sono principalmente l’ascolto della musica (93,8%), le uscite con gli amici (92,2%), la visione della televisione e di film noleggiati (72,5%), il gioco con gli amici (66,4%) e le attività sportive (62,4%) (tab. 12).







Inoltre, in un contesto sociale dove quasi 7 milioni e mezzo di persone indicano quale problema che più li preoccupa in questo momento lo stress derivante dalle crescenti responsabilità nei diversi ambiti del lavoro, della salute, della previdenza, ecc., il 70,2% degli adolescenti ha paura della sofferenza interiore, il 64% della solitudine, il 48,6% dell’incertezza del futuro.


Oltre la ricerca spettacolo

Sono emersi segnali del lento affermarsi di una concezione “fredda” della ricerca, lontana dalle aspettative mirabolanti della ricerca-spettacolo e degli annunci-bomba a ripetizione, e focalizzata sui risultati concretamente possibili in materia di lotta alle malattie e di miglioramento della tutela della salute. Il 49,6% degli italiani ritiene che la ricerca biotech debba essere incentivata e sviluppata limitatamente alle applicazioni relative al campo della salute, il 18,6% sostiene che occorre non introdurre alcun vincolo nemmeno in materia di organismi geneticamente modificati (Ogm) ed il 31,8% si è dichiarato assolutamente contrario all’incentivazione del biotech. Oltre due terzi degli italiani (67,3%) sono contrari all’utilizzo degli embrioni nella ricerca scientifica, mentre nel 2001 i contrari erano il 53,7% (tab. 14).




Riguardo alle modalità di finanziamento della ricerca, il 49,5% degli italiani fa riferimento al concorso dei privati come Fondazioni e sponsorship di aziende, il 34,7% alla detassazione delle donazioni e delle elargizioni dei privati e solo il 6,4% indica come potenziale modalità di finanziamento della ricerca una tassa aggiuntiva, il 3,7% un ticket aggiuntivo sulle prestazioni sanitarie ed il 3% un ticket sui farmaci. Il 56,1% degli italiani ritiene che le scoperte che hanno un impatto positivo sulle capacità di cura devono essere svincolate dalle normali leggi sui brevetti e rese disponibili a tutti.
Sul piano dell’impatto etico della ricerca scientifica, il 43,9% degli over 60enni ritiene che in presenza di una grave patologia sia necessario continuare le cure sino a che c’è possibilità di mantenere in vita il malato, il 39,0% ritiene che, in presenza di una grave patologia, il malato o il familiare più prossimo abbia diritto a scegliere quando interrompere la terapia (tab. 16).




L’economia sociale: il valore dell’autonomia

Il sociale è un contenitore di una pluralità crescente di soggetti e reti che sviluppano forme articolate di interazione, formali e informali, secondo logiche di architettura decentrata. Sono circa 230 mila le istituzioni in cui operano, a diverso titolo, circa 5 milioni di persone tra dipendenti, collaboratori, lavoratori distaccati, obiettori, volontari e religiosi. Il 77% delle organizzazioni di volontariato sono collegate ad altre tipologie di soggetti, il 38,2% appartiene a più reti, il 24% ha connessioni con tre partner operativi; riguardo agli enti non profit, il 67% partecipa ad organismi territoriali di coordinamento, ed è in netto incremento il numero di consorzi di cooperative sociali (attualmente se ne contano oltre 200).
Si tratta di un fitto tessuto intermedio, che opera come istituzione e offre funzioni cruciali per il corpo socioeconomico. Nella graduatoria relativa ai soggetti da cui gli italiani si sentono maggiormente rappresentati, subito dopo coloro che non si riconoscono in alcun soggetto (28%), si collocano le Organizzazioni di Volontariato (21%), seguite dalla Chiesa con il 16%, dai giornali e dall’informazione televisiva (10,5%) e dalle associazioni civiche e ambientaliste (7,4%) (tab. 19).




Riguardo alle attività nelle quali gli italiani pensano di impegnarsi di più nei prossimi 12 mesi dopo quelle più personali, legate al proprio benessere psico-fisico (30,2%) e agli hobby, agli amici ed alle relazioni personali (29%), viene citato il volontariato (18,7%), in particolare nel Nord-Ovest (20,6%) e nei comuni di ampiezza tra 100 e 250 mila abitanti (25,7%) (tab. 20).




Non solo pensioni per una vecchiaia serena

Gli italiani per costruirsi una vecchiaia serena non si affidano più da tempo in via esclusiva alla copertura pubblica o ai trattamenti pensionistici ed ai loro importi. Per gli over 65 i redditi da pensione pesano per circa il 72% nella composizione del reddito totale, il reddito da lavoro per il 17,1% e gli altri redditi per il 6%; per il 20% di anziani più ricchi il peso dei redditi da pensione scende al 54,5%, quello dei redditi da lavoro sale al 28,6% e quello dei redditi provenienti da altre fonti a quasi il 13%.
Condizione anziana non è più sinonimo di povertà e gli anziani soli hanno un’incidenza del 13,5% e rappresentano il 5,4% del totale dei poveri, l’incidenza più alta si registra tra le famiglie con almeno 3 figli (25,1%) che hanno un rischio di povertà pari al doppio di quello relativo al resto della popolazione (13,6%), mentre le coppie con due figli (29,2%) sono la componente maggioritaria del totale dei poveri.
Per i ritirati dal lavoro (13,5%) l’incidenza della povertà è addirittura inferiore rispetto a quella relativa al totale della popolazione. Il 57,8% degli italiani è favorevole al ricorso a strumenti di incentivazione fiscale per coloro che accettano di rinviare l’età della pensione pur potendo beneficiare di una pensione di anzianità, il 70,4% sostiene l’idea di iniziative di vario tipo finalizzate a favorire l’attività lavorativa dell’anziano che lo desideri, mentre il 59,4% è contrario ad innalzare l’età pensionabile ed il 56,4% non vuole che siano penalizzati coloro che vanno in pensione in anticipo rispetto alla vecchiaia (tab. 22).




Quanto all’evoluzione della spesa previdenziale, nel decennio 1991-2001 si è disegnata una dinamica evidente con una contrazione progressiva della variazioni percentuali passate dal +12,2% del 1990-1992, al +7,3% del 1993-1997, al +3,4% del 1998-2001. In realtà, più che un nuovo superintervento dall’alto, sistematico e risolutivo, al fianco della richiesta di potenziamento degli spazi di libertà e autonomia per i soggetti più forti c’è la richiesta di un ulteriore incremento delle pensioni basse (per il 65,2% degli anziani è una priorità).

Immigrazione: l’integrazione si gioca nel locale
L’immigrazione si colloca alla settima posizione nella graduatoria delle problematiche del paese, richiamata dal 18,7% degli italiani, mentre nel 2000 era in terza posizione, citata da oltre il 31% degli italiani. La percezione della questione come problema prioritario ha avuto un calo drastico soprattutto nei piccoli comuni fino a 10 mila abitanti, dove nel 2000 era stata indicata da oltre il 35% degli intervistati e nel 2002 dal 18,6%.
Per quanto riguarda le ragioni della scelta di venire in Italia da parte degli immigrati che hanno chiesto la regolarizzazione prevista dalla nuova legge sull’immigrazione, la presenza dei familiari è stato il motivo primario (54,9%), seguito dalla convinzione che in Italia fosse facile trovare lavoro (47,2%), dall’idea che le leggi italiane favorissero l’ingresso degli stranieri (17,8%) e dal richiamo all’accessibilità geografica della penisola (10,8%) (tab. 25).




Le valutazioni degli immigrati che chiedono di essere regolarizzati sono positive sia con riferimento alla condizione di lavoro (83,9% di contro al 70,3% del 1998) che per quanto riguarda il soggiorno in Italia rispetto alle aspettative (70,2% di contro al 56,1%).
In relazione all’intensità dei rapporti con i cittadini italiani, si registra una sostanziale stabilità rispetto al 1998, relativamente stabile anche l’intensità del rapporto con i cittadini del proprio stesso paese, mentre cresce in modo significativo l’intensità dei rapporti con cittadini di altri paesi (nel 1998 il 41% degli immigrati regolarizzandi aveva contatti spesso o qualche volta con stranieri di altri paesi, nel 2002 la percentuale è salita al 62%) (tab. 27).















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