Indagine sugli atteggiamenti e i comportamenti dei lavoratori verso la formazione
Fuoriregistro - 07-11-2002
Premessa

Il Dipartimento Formazione Continua dell’ISFOL, in collaborazione con ABACUS, ha realizzato la prima indagine nazionale su atteggiamenti e comportamenti dei lavoratori rispetto alla formazione.

L’indagine, condotta su un campione rappresentativo dei 10 milioni di lavoratori di imprese private, è stata realizzata attraverso 4 focus group e 5000 interviste telefoniche. Si tratta dei primi risultati di una serie di ricerche avviate nell’ambito delle attività dell’Osservatorio Nazionale sulla Formazione Continua dell’ISFOL, previsto dal PON ob. 3 del FSE.

Una sintesi dei risultati principali


1. L’atteggiamento verso la formazione continua


L’indagine evidenzia come vi sia un atteggiamento essenzialmente positivo verso la formazione nel suo complesso.

In particolare emerge:

-l’80% dei lavoratori intervistati sostiene che la formazione iniziale, di tipo scolastico, sia stata un’esperienza positiva. Tale atteggiamento prescinde dalle effettive risultanze che il percorso scolastico ha poi avuto nella scelta della professione. Infatti, appena il 48% degli intervistati ritiene che il momento formativo iniziale sia servito per il lavoro, rispetto all’83% che sostiene come la scuola abbia svolto un ruolo fondamentale, essenzialmente come crescita personale (Grf.1);




-l’atteggiamento verso la formazione viene ulteriormente definito se si pensa che oltre il 42% degli intervistati sostiene di avere seguito o sta seguendo corsi di arricchimento personale (soprattutto per quanto concerne lingue ed informatica), indipendentemente, cioè da esigenze specifiche dettate dal lavoro svolto;

-il dato più interessante riguarda, tuttavia, la convinzione che la formazione professionale non debba avere un tempo specifico e limitato nel tempo, ma deve essere continua, svolta durante l’intero arco della vita (88% dei lavoratori intervistati sostiene tale atteggiamento) – Grf2 -.




In generale la formazione professionale continua viene associata a:

- risorsa individuale (47%);
- risorsa aziendale (16%);
- sicurezza occupazionale (15%);
- carriera (7%).

I dati indicano come il processo formativo sia percepito in due accezioni: da una parte quella strettamente legata al mondo del lavoro (azienda, carriera, occupazione), dall’altra riferita alla sfera di crescita personale.


2. Il vissuto della formazione continua


Il 32% dei lavoratori sostiene di avere partecipato a formazione su lavoro negli ultimi due anni. E’ una percentuale elevata che indica indubbiamente un relativo dinamismo delle politiche formative adottate all’interno dei sistemi aziendali.

Tuttavia, i lavoratori formati rispondono spesso a caratteristiche socio-professionali ben definite, ove emerge come la formazione continua sia ancora un patrimonio culturale e professionale di un gruppo forte di lavoratori per:

- tipologia d’impresa – soprattutto imprese grandi con oltre i 250 dipendenti (53,9% l’hanno fatta negli ultimi due anni contro appena il 16,8% delle micro-imprese con meno di 6 dipendenti) – Grf.3 -;



- posizione in azienda (figure manageriali e tecniche). Nello specifico i quadri intermedi sono i maggiori destinatari della azioni formative (ben il 66,8% di questi, contro 9,8% degli operai comuni ed il 12% delle commesse) – Grf.4 -;



- livello di scolarizzazione, con una forte incidenza di laureati, il 55,1% contro l’11% circa dei lavoratori con scuola dell’obbligo – Grf.5 – ed una concentrazione di formati nella classe d’età 30-40 anni.




La fascia d’età maggiormente interessata ai processi formativi è quella compresa tra i 30 ed i 40 anni. Si tratta di lavoratori nel pieno della propria carriera, che attraverso il processo formativo acquisiscono quel know-how necessario ai potenziali avanzamenti e miglioramenti sia di posizione che economici.

In generale pare ancora marginale la formazione continua rivolta ai lavoratori “deboli” o soggetti ad una obsolescenza professionale. Costoro sono al di fuori dei “circuiti formativi”, soprattutto, perché nessuno organizza iniziative formative nell’azienda presso cui lavorano (53% dei casi) o perché il sistema informativo su iniziative di formazione non è in grado di raggiungerli. Spesso costoro si sentono esclusi a priori, autopercependosi come marginali rispetto ad una formazione, che nel proprio immaginario, continua ad essere dedicata a figure più elevate. In questo senso sono numerosi i lavoratori (soprattutto dequalificati) che, aldilà delle difficoltà d’accesso, non vedono la formazione come reale possibilità di riscatto o riposizionamento professionale.

Il 32% dei lavoratori che negli ultimi due anni ha partecipato ad azioni formative lo hanno fatto attraverso i seguenti tipi di azione:

-partecipazione a corsi (70% dei lavoratori che hanno realizzato azioni formativi); 45% auto-apprendimento; 33% seminari; 32% affiancamento; 12% formazione distanza. In media questi lavoratori hanno partecipato ad almeno 2 azioni formative ciascuno, confermando l’idea che i processi formativi coinvolgono essenzialmente la stessa tipologia di lavoratori (Grf.6);




-le attività di formazione sono promosse, per tutte le tipologie, prevalentemente dalle imprese, ma anche da un organismo privato presso cui si è realizzata l’iniziativa (soprattutto per le forme seminariali);
-gli argomenti più trattati, indipendentemente dalle tipologie di azioni formative, hanno riguardato informatica, marketing e comunicazione; sicurezza, tecniche di produzione, utilizzo macchine;
-la scelta di partecipare ai corsi, nella maggior parte delle situazione formative, è riconducibile all’iniziativa dell’impresa che, autonomamente o con l’accordo del lavoratore, promuove le diverse azioni. Solo l’attività di autoapprendimento vede il lavoratore come assoluto protagonista nella scelta (50% delle situazioni).

Il lavoratore formato, in genere, si rafforza partecipando a più azioni di formazione effettuate in un breve arco temporale. E’ sufficiente rilevare che i 2/3 dei lavoratori coinvolti in azioni formative ne hanno realizzate più di una (fino ad una massimo di 5 azioni formative in due anni). In questa prospettiva ci si trova di fronte ad una sorta di circolo virtuoso a cui partecipano allo stato attuale proprio quei lavoratori già ritenuti forti:

·laureati, abitanti in grossi centri, quadri, del settore dei servizi alle imprese. Questi tratti sono ancora più radicalizzati rispetto agli stessi lavoratori che hanno sono stati coinvolti in almeno 1 azione formativa negli ultimi due anni.

Nel sistema attuale l’accesso alla formazione è più agevole solo per i lavoratori che ne usufruiscono abitualmente, mentre è più difficoltoso per coloro che non ne hanno mai usufruito.

Un ultimo aspetto del vissuto della formazione riguarda il giudizio che viene fornito sui processi formativi a cui il lavoratore ha partecipato. Questo è largamente positivo: i lavoratori che ritengono utili le iniziative varia da un massimo dell’87% per le azioni di affiancamento ad un minino del 79% per i seminari ed i corsi.

L’entusiasmo palesato verso i processi formativi sembra essere dettato più dall’entusiasmo che deriva dal partecipare ad un evento inconsueto, spesso una tantum, , che crea attenzione e rompe la routine quotidiana, che non da effettive istanze critiche. Non a caso le indicazioni più critiche verso le azioni frequentati derivano proprio da quei lavoratori che hanno partecipato ad almeno 3 azioni formative.


3.Conoscenza delle politiche pubbliche di formazione

I lavoratori delle imprese italiane denunciano carenze informative sulle iniziative di formazione che il sistema pubblico nazionale e comunitario promuove. Il sistema pubblico nel suo insieme è riconosciuto come principale referente per iniziative di formazione presso cui rivolgersi, qualora vi fosse l’esigenza di partecipare ad un’azione formativa, solo dal 31% degli intervistati, ed in particolare: regione (11%), comune (10%), provincia (6%), Unione Europea, Ministero ed Isfol (4% nel loro insieme) – Grf.7 -.



Particolarmente significativa è la quota di lavoratori (33%) che non saprebbero a chi rivolgersi. Infine, il 21% si rivolgerebbe all’azienda in cui lavora. Questo disorientamento è confermato se si nota che appena il 36% degli intervistati sa che può avere finanziamenti pubblici per la formazione e dal fatto che appena il 19% dei lavoratori sostiene che la formazione finanziata dal pubblico si rivolge a lavoratori. Al proposito permane l’immagine di politiche pubbliche che sono indirizzate essenzialmente a giovani (47%), disoccupati (31%) ed altre fasce deboli come disabili, donne, CIG - Grf.8 -.













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